C’erano una volta IL Maestro, IL Professore e per alcuni IL Mentore

Stamani in un post su Facebook ho trovato questa foto:

Immagine da Televideo – foto da Facebook

Ho letto i primi commenti che ne sono seguiti e poi ho fatto una riflessione che non pretende di essere unanimemente condivisa ma è scaturita in me, forse perché mutuata dal vivere da sempre a fianco di insegnanti. Mio padre è stato professore, prima al liceo e poi all’Accademia di belle Arti di Firenze; mia moglie è docente di sostegno alle scuole primarie e i suoi genitori, i miei suoceri, sono stati entrambi insegnanti alle scuole elementari; un tempo si chiamavano così.

Anche io sono stato uno studente e non ho fatto le scuole con Noè. Non sono coevo di Cicerone e non mi ritengo nemmeno uno che poteva essere considerato lo “studente modello”… eppure, in un batter di ciglia, mi accorgo che siamo passati da un estremo all’altro. Se ci penso ancora mi ricordo “le pacchine” che prendevo sulla nuca dai miei insegnanti.

Cos’è accaduto negli ultimi tre, forse quattro decenni?

Cos’ha permesso e imposto il ribaltamento di certe logiche e la tacita accettazione delle stesse? C’erano dei ruoli da rispettare ed esisteva un modo di rapportarsi che si radicava su un principio universalmente riconosciuto e riconducibile ad una sola parola: “educazione”. Questo accadeva una volta quando a scuola c’era una strana materia chiamata “educazione civica” e i genitori preparavano amorevolmente le merende ai propri figli oppure li sgridavano, li punivano e talvolta li prendevano a calci nel sedere se non si comportavano bene… Troppo?

Da un “posso”, “lei”, “scusi” o un sempre auspicato “grazie” si è passati al “tu”, “uff…”, “NO”, “vaffan”, “chissene”.

Immagine da: Pixabay

Non credo che “la colpa” di questo sia da ricercare nella scuola – o non solo nella scuola – ma nei comportamenti e nei modelli sociali imposti dai media, strumenti ad uso ed abuso di quel consumismo che punta, come obiettivo primario, alla mera speculazione a tutti i costi al cui fianco marcia una politica che tace o asseconda, pur di raccogliere consensi o evitare di generare dissensi.

A quante riforme della scuola abbiamo assistito in questi trent’anni?

Quante promesse, quanti obiettivi mancati…

In questo “downgrade” culturale si contrappone un “upgrade” silente e costante della burocrazia che va a carico degli insegnanti e che depaupera tempo ed energie all’insegnamento, quello vero.

Le conseguenze?

Gli insegnanti hanno sempre più limitazioni, paletti da scansare e responsabilità da sostenere. Aumenta lo stress generato dall’imposizione delle mansioni da svolgere extra insegnamento, ben lontane dalla mission di un’insegnante. Il tempo a disposizione per insegnare è poco, se paragonato al tempo che occorre per svolgere tutto il resto.

Immagine da Pixabay

Oltre a questo, capita anche di vedere genitori pronti a coalizzarsi quando c’è da puntare il dito contro un’insegnante. Nell’ottica di un contemporaneo “Panem et circenses”, arriva WhatsApp con i suoi gruppi. Lo strumento di “vita o di morte” attraverso il quale tutti possono giudicare, con semplicità, quasi per gioco, forse anche con cinico divertimento, quello che un tempo era la figura e il ruolo de IL Maestro, IL Professore e in alcuni casi anche di quello che per molti era considerato IL Mentore… mentre oggi è solo un mero “gladiatore ferito”, un’impiegato passacarte che al minimo errore (in generale) viene sottoposto al giudizio arbitrario delle masse e dei media, quelli di cui sopra, che sono alla continua ricerca di capri espiatori, utili ad alimentare un sistema che necessariamente deve produrre contenuti da dare in pasto ai consumatori, sempre più targettizzati, omologati, omogeneizzati… leggi pure: ignoranti e mossi da un pensiero collettivo.

Con questo non giustifico “atti di violenza”, o meglio: ABUSO DI MEZZI DI CORREZIONE, se tali possono essere definiti e giudicati (non da Whatsapp ma da un’eventuale inchiesta) ma l’esercizio della “denuncia facile”, pur di arrivare ad una “giustizia a tutti i costi”, deve finire, almeno nelle scuole. “Uno schiaffo” è un atto di basso livello che si palesa per molti motivi. Non si deve fare, non è ammissibile ma adesso mi chiedo cosa accadrà in quell’ìstituto o in quella famiglia. Quei genitori, pur certamente e comprensibilmente uniti nel sostenere il proprio figlio, utilizzeranno questa OPPORTUNITA’ per dare un insegnamento a quel ragazzo o si limiteranno a condannare l’insegnante instillando nel giovane la consapevolezza che quella persona ha solo sbagliato e che lui, il proprio figlio, aveva solo ragione e quindi è una vittima e che questo è il significato di giustizia? Se ciò accadesse quel ragazzo tornerebbe a scuola, forte di questo successo, supportato da una giustizia che lo legittima nell’adempiere al “proprio dovere di studente indisciplinato”.

L’insegnante verrà mandato alla graticola? Sospeso? Licenziato? Tutti pronti a puntare il dito?

Credo che abbiamo bisogno di un bel reset.

La scuola deve insegnare. La famiglia si deve affidare alla scuola e deve sostenerla. Lo stato DEVE sostenere la famiglia e la scuola. La società dovrebbe capire che quello schiaffo, se veramente è arrivato dopo l’ennesimo richiamo allo studente indisciplinato, è solo la risposta eccessiva di un insegnante esasperato all’ennesima eccessiva provocazione di uno studente indisciplinato. Dovrebbe essere una cosa da gestire internamente alla scuola, tra Dirigente scolastico (quello che un tempo si chiamava preside, il cambio di nome fa capire la direzione che abbiamo preso: azienda e non più scuola), insegnante e famiglia ma sicuramente non dovrebbe diventare un caso da inquirenti, almeno non questo.

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