Un tempo

Un tempo…

…esisteva l’arte, la letteratura, il teatro, il cinema.

Un tempo si rideva; si vedeva e si sentiva.

Un tempo si piangeva; si vedeva e si sentiva.

Un tempo c’era la televisione di intrattenimento. Oggi sei trattenuto dalla televisione in una sorta di bolla depressiva.

Un tempo si poteva abbracciare un amico, un parente, si davano due baci sulle guance e dopo averlo fatto ci sentivamo bene, un tempo…

Un tempo si poteva parlare di tanti argomenti anche di quel calcio, alle volte insopportabile, che ti permetteva di gioire, di esultare o d’incazzarti se la tua squadra ti deludeva. Lo facevi allo stadio, al bar e a casa con gli amici. Ora il suono delle notifiche del tuo smartphone sovrasta quello di un goal. Ora non sai nemmeno se la partita verrà giocata.

Un tempo le squadre sportive erano in ritiro, adesso sono in quarantena.

Un tempo si faceva all’amore, ci si guardava negli occhi, ci si baciava e si provavano sensazioni e pensieri che erano anni luce dal “mi avrà contagiato/a”?

Un tempo si facevano feste, si ballava insieme, più o meno stretti, come ci andava, senza troppi freni. Un tempo…

Un tempo se ti fermavano le forze dell’ordine esibivi patente e libretto, adesso mascherina e certificato medico col responso negativo del tampone. Probabilmente se non indossi la cintura di sicurezza non frega più a nessuno, basta che indossi la mascherina, da solo, in auto…

Un tempo se entravi in una banca dovevi essere riconoscibile, adesso sei ben accetto solo se ti copri naso e bocca e se soprattutto vai a chiedere un finanziamento garantito dallo Stato.

Un tempo andavi a correre e qualcuno ti diceva: “beata gioventù” o “che atleta”, alle volte sfottendo, alle volte a ragion veduta. Oggi se vai a correre ti mandano contro droni e forze dell’ordine.

Un tempo “asintomatico” era una persona che stava bene e che poteva condurre una vita normale. Oggi è il nuovo malato, quello dal quale bisogna stare lontani e per qualcuno anche da isolare.

Un tempo entravo in un negozio e facevo la fila alle casse. Oggi faccio la fila per entrare e spesso alle casse non c’è nessuno.

Un tempo andavi in un ospedale per farti curare, oggi ci vai per sperare di non farti intubare e se devi curarti, spesso, non puoi; esami e interventi chirurgici sono rimandati. Oggi si tratta solo chi ha a che fare col Covid o chi col Covid vuol avere a che fare.

Un tempo facevi la fila in auto per andare al mare, oggi la fai per farti fare un tampone, dopo aver respirato smog per ore e facendoti infilare dal finestrino un bacchetto nel naso e nella gola.

Un tempo da quel finestrino, ai drive in, arrivavano belle ragazze su pattini a rotelle che ti portavano vassoi con sopra dei gustosi milk shake da gustare. Un tempo…

Oggi se parli di prevenzione, di sistema immunitario, di microbioma intestinale, di Vitamina C, D3, K2, Zinco… sei un tipo strano, newage, un po’ hippy, nella migliore delle ipotesi, altrimenti sei un bufalaro, antiscientista, incosciente, irresponsabile e se sei medico sei sicuramente da radiare.

Un tempo se cercavi di capire, conoscere, approfondire e dibattere su ciò che avevi compreso, eri una persona intelligente. Oggi sei un negazionista, a prescindere, o ti allinei e accetti tutto o sei un pericolo per la società, e poi “cosa vuoi capirne tu di queste cose, non sei uno scienziato.”

Un tempo c’erano le gare di rutti… fallo oggi con la mascherina. Un tempo, c’erano anche concerti e cantanti. Adesso canti in doccia, da un balcone o da una terrazza, da solo ma purché rigorosamente in streaming video.

Un tempo salivi su un mezzo pubblico pensando che il problema potesse essere la mano sul culo o un portafogli scippato. Adesso devi pensare ad indossare la mascherina e mettere il gel disinfettante cercando di essere accorto… alla distanza che tieni col tuo prossimo, non si sa mai che sia “infetto”.

Un tempo i bimbi andavano a scuola e alla ricreazione giocavano insieme, si rotolavano per terra, si sbucciavano le ginocchia, q.b., prendendosi anche qualche rimproverata dalle maestre, poi anche a casa dai genitori. Adesso i bimbi sono avvolti in un packaging a prova di tutto purché nulla sia possibile fare.

Un tempo i bimbi a scuola mangiavano a mensa, oggi seduti al proprio banco senza potersi alzare.

Un tempo i bimbi andavano alle feste di compleanno e stavano insieme, ridevano, scherzavano, crescevano insieme, riconoscendosi e riconoscendo le reciproche emozioni, guardandosi in volto e ascoltandosi mentre interagivano. Un tempo…

Un tempo dopo il volto della mamma e del papà i bimbi ricordavano il volto delle loro maestre, oggi ricordano il colore della mascherina che indossano. Un domani, da adulti, diranno: “come era bella… la mascherina della mia maestra delle elementari”.

Un tempo i militari erano al servizio e a difesa del cittadino, oggi sono chiamati dallo Stato a intimare di indossare la mascherina e, come se ciò non bastasse, anche a sanzionare i liberi respiratori.

Un tempo entravi in un ristorante e ti chiedevano dove volevi sedere e cosa desideravi mangiare. Oggi ti chiedono di mettere il disinfettante, di misurare la temperatura, di indossare la mascherina e di lasciare un recapito, non per indagini sulla qualità del servizio ma per rintracciarti nel caso in cui fosse rilevata una positività al Covid.

Un tempo, in un ristorante, se ti alzavi per andare in bagno, lo facevi e basta… oggi ti alzi e devi indossare la mascherina, pensando di fermare un virus semplicemente spiazzandolo, giocando a nascondino stando in piedi o mostrandosi stando da seduti. Non so se “lui” ci casca ma noi ne siamo convinti, questo evidentemente basta, scientificamente parlando.

Un tempo…

Tornerà quel tempo e forse anche un tempo migliore di quello che era. Tornerà se torneremo a vivere. Tornerà se metteremo la mascherina alla televisione e ai giornali. Tornerà se decideremo che l’evidenza è scienza e che non è scienza quella che non si confronta con le evidenze. Tornerà se prenderemo quella manciata di numeri e cominceremo a leggerli come devono essere letti e compresi e non come ci limitiamo a sentire, accettando tutto di buon grado.

Tornerà se metteremo d’accordo ragione e cuore.

Tornerà se vorremo farlo tornare, se capiremmo che la vita è una e che merita di essere vissuta ogni giorno, intensamente. Non c’è modo di rivivere ieri ma solo sperare di poter vivere il domani. L’oggi merita un investimento di tutto il nostro essere per poterlo vivere con gioia, regalando gioia.

Non ti sentire in colpa nel voler vivere ma solo se vivrai senza aver vissuto.

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La metafora dei pennarelli e della plastilina per spiegare il MES

Parlare di MES e non essere membro dell’Eurogruppo, un politico, un tecnico o un tuttologo, rischia di portarmi in un campo minato. Ho pensato di usare una metafora per rendere tutto più leggero e forse più semplice per permetterci di capire, anche a me, cosa è accaduto nelle ultime ore in Italia dal momento in cui abbiamo tutti sentito straparlare a gran voce del MES.

Esprimo un mio pensiero simulando ciò che ora non possiamo fare: una sana chiacchierata tra amici al bar, al parco o a cena con qualcuno.

Vi racconto una storia che stamani ho inventato per scambiare con un amico (ciao Riccardo) alcune opinioni in merito a questo argomento e in particolare su quanto è accaduto a seguito della dichiarazione di “vittoria” da parte del Ministro Gualtieri, al termine dell’incontro con gli altri leader europei avvenuto il 9 aprile 2020.

Mi sono immaginato una famiglia di quattro persone: babbo, mamma e i due bambini che vanno alle elementari (oggi scuola primaria).


I due bimbi in virtù delle loro necessità si concertano. A seguito della loro riunione il maggiore va dal babbo e gli dice: “Babbo. Mio fratello ed io abbiamo bisogno di una bella scatola di pennarelli. Abbiamo terminato la vecchia, qualche pennarello lo abbiamo perso e comunque ci servono. Ce la dai una scatola nuova?”.

Il padre ascolta e poi dall’alto della sua posizione risponde a figlio maggiore: “No caro. Sono contrario”.

Il ragazzo, mesto, mesto, torna dal fratellino e gli dice: “Senti, ho parlato con babbo per la storia dei pennarelli. Mi ha detto no. Uffa. Comunque gli do tempo una settimana e poi torno all’attacco. Vedrai che mi darà ascolto, non ti preoccupare”.

Il fratellino più piccolo sospira e continua a disegnare con qualche pennarello spuntato, qualcuno ha l’inchiostro oramai quasi esausto. Cerca di fare come del suo meglio per presentare il disegno alla maestra.

Una settimana più tardi il fratello più grande torna dal babbo e gli dice: “Babbo… ti ricordi il discorso dei pennarelli?”

Il padre: “Sì figlio, ti avevo già risposto”.

“Si lo so babbo ma noi ne abbiamo davvero bisogno. Io devo fare i compiti di scuola, devo colorare l’arcobaleno, fare il disegno per Pasqua e mio fratello deve fare il disegno per il compleanno della mamma”.

Play Doh. Scultura in alluminio alta 11 metri realizzata dall’artista Jeff Koons – 2014 – Whitney Museum of American Art. Foto da exibart.com

Il padre, sempre dall’alto della sua posizione, gli risponde: “Senti caro, facciamo così, non ti do i pennarelli ma una grossa palla di plastilina che ho preparato per te e tuo fratello insieme alla mamma, alla zia, alla nonna e dentro alla quale abbiamo messo anche la plastilina che tu e tuo fratello avete lasciato a giro negli ultimi anni. Se vuoi ti do questa. Pennarelli no”.

“Ma babbo, della palla di plastilina non sappiamo cosa farne, è troppo grossa, unta e non possiamo farci le cose che dobbiamo realizzare e, se non ricordo male, ogni volta che la userò tu mi prenderai un pennarello”.

Il padre: “È vero. Questo però è ciò che posso darti. Casomai possiamo fare così. Ti do la palla di plastilina e se la usi solo per fare un mezzobusto che ritrae tua mamma, dato che è il suo compleanno, non ti prendo alcun pennarello. Se invece la usi per fare altro e sparpagli il plastilina ovunque, mi dovrai dare tre pennarelli”.

Il ragazzo, sapendo che dovrà tornare dal fratello con qualche risultato e pensando che non tutti i mali vengono per nuocere, accetta la condizione, sapendo anche che eventualmente non userà quella enorme palla di plastilina ma la terrà da una parte mentre continuerà ad usare i vetusti e quasi esauriti pennarelli.

Torna dal fratellino e gli dice: “Successo! Vittoria! Babbo ha ceduto. Lo sapevo che lo avrei convinto. Sai… Mi conosci oramai. Quando dico una cosa è quella”.

Il fratellino tutto sorridente chiede al maggiore: “Quindi avremo una scatola nuova di pennarelli?”

“Beh. Non proprio. Abbiamo vinto e quindi adesso possiamo avere una bella palla di plastilina tutta per noi”.

“Ma come?! Che ce ne facciamo? Oltretutto se la usiamo dobbiamo dare a babbo un pennarello e ne sono rimasti pochi. Questi erano gli accordi”.

“Non ti preoccupare fratellino… tanto possiamo non usare la palla di plastilina e se mai la dovessimo usare puoi sempre fare un mezzobusto di mamma così babbo non ti prenderà alcun pennarello”…


Buona Pasqua!

PS: Mi scusino i signori che producono plastilina. Ho parlato di palla intendendo una massa informe, un agglomerato di scarti e non di confezioni intonse. La metafora è ad uso “didattico” 🙂

 

AIFA ma chi mi scegli? 36 compresse di Moment dovrò pur smaltirle, no?

Avete visto il nuovo spot dell’AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco? Si intitola “Farmaci e Pediatria”.

Lo spot si rivolge ai genitori e agli adulti in generale. L’intento è di porre l’attenzione sui pericoli a cui è facile incorrere somministrando farmaci da adulti ai bambini, soprattutto se non si consulta prima un pediatra.

Nello spot compaiono nonni e genitori (attori) che di propria iniziativa dividono, polverizzano, triturano, sciolgono, iniettano, pur in dose ridotta, farmaci da adulto, nel pericoloso quantomai maldestro tentativo di ricavarne una dose “corretta” da somministrare al proprio figlio o nipote.

Il messaggio è importante e promuove la figura del pediatra come unico referente qualificato in grado di prescrivere farmaci specifici, quando occorrono, ai bambini.

Ottimo! Bravi, mi piace ma…

…avete visto chi c’è tra i vari interpreti dello spot?

Lei, sì, “l’esagitata”, quella che acquista la confezione da 36 compresse di Moment e un attimo dopo, all’amica con la quale è a giro per la città e successivamente a un passante che incontra davanti alla farmacia, caldeggia la convenienza di questa nuova confezione di ibuprofene targato Moment, con l’enfasi che potrebbe avere nel comunicare che il prezzo della benzina è stato dimezzato o nel caso in cui il Governo permettesse a tutti di scaricare l’IVA.

Scelta casuale?  Voluta?

Non lo so ma… aspetta un “moment”… tingiamo il tutto con un po’ di umorismo nero. “Ha la casa piena di confezioni da 36 compresse di Moment, quale migliore occasione per smaltirne un po’, no? Rivogagnene al bambino!”

Ecco un fotogramma dello spot MOMENT, confezione da 36:

Spot Moment, confezione da 36 compresse
Spot Moment, confezione da 36 compresse

Ed ecco quello dello spot AIFA, Farmaci e Pediatria:

Spot AIFA
Spot AIFA

Nello spot AIFA, “lei” è solo più preoccupata perché sa di aver fatto la cazzata, ha somministrato al proprio figlio una buona parte delle 36 compresse di Moment. Ha deciso subdolamente di discioglierle in acqua, visto che porge al bimbo un bicchiere con “qualcosa” da bere.

Ma che ci vuoi fare, dopotutto si sa… perchè non “comprare la nuova confezione da 36. In famiglia conviene averne quando serve”.

Non me ne voglia l’attrice Ketty Roselli che fa benissimo il suo mestiere e interpreta dei personaggi ma, le coincidenze, il caso o chiamatelo come volete l’hanno messa in una situazione singolare, anzi plurale, no da 36…

Cari AIFA e Ministero della Salute, un po’ di attenzione nella scelta dei personaggi, soprattutto in questo caso.

Cara ketty, mi auguro e ti auguro di cuore di poterti rivedere presto in uno spot che non abbia nulla a che fare con i farmaci.

Spot Moment:

Lo spot AIFA:

Ketty Roselli Showreel

Bambini felici nel fare i lavori domestici

Ho visto… spot in cui bambini si divertono a fare i lavori di casa.

Ho_Visto_CoseE pensare che ci sono genitori che non riescono neppure a convincere i propri figli a rifare il proprio letto. Com’è tutto facile e bello nelle pubblicità.

Dedicato a quei genitori che provano un po’ di invidia nel vedere questo spot… Dedicato a quei bambini che nel vedere questo spot vorrebbero chiamare il Telefono Azzurro.

fetta al latte è fatta col latte!

Ho visto… bere il latte da un dolce industriale, grazie ad uno spot in cui “cuore” fa rima con “amore”.

Ho_Visto_CoseQuesta è la pubblicità dove… “da bambino le mamme davano ai propri figli pane e cioccolata, una merenda semplice e sana…”

Oggi, evidentemente, quella merenda non è più tale o non va “di moda”, preferendo offrire ai propri figli le merendine confezionate sulle quali la cioccolata è già spalmata o il latte è già “versato”.

C’erano una volta “pane e cioccolata” accompagnati da un buon “bicchiere di latte”. 

Dedicato a chi ama le cose “semplici e sane” dove da sempre il “cuore” fa rima con “amore.