Pittogrammi impazziti e indicazioni folli
Sei lì in attesa, il tempo passa, ti guardi intorno e osservi…
Per deformazione professionale la mia attenzione viene catturata dalle insegne, pittogrammi e dai cartelli che mi circondano. Mi capita di osservarli nelle stazioni, nei centri commerciali, negli aeroporti, sui mezzi pubblici e negli ospedali.
L’esperienza mi ha portato a classificare la segnaletica in tre macro categorie:
- Segnaletica ufficiale: studiata da designer e architetti. Solitamente viene riprodotta su impianti appositi come display, segnaletica a bandiera, totem, pannelli, vetrofanie, insegne, ecc.
- Segnaletica da layout: basata su un impianto grafico che definisce spazi, forma, font e colori. Viene utilizzata dal personale della struttura in questione, sulla base di un layout fornito da designer e/o architetti. Offre un supporto adeguato, in linea con la segnaletica ufficiale e conforme a degli standard predefiniti, permettendo di realizzare dei medium informativi/segnaletici non presenti o a completamento di quelli ufficiali. Si sviluppa di solito attraverso formati A4 e A3, plastificati, facili da stampare all’interno della struttura mediante stampanti tradizionali d’uso comune. Risolve un’esigenza immediata, è sufficientemente gradevole e mantiene uno stile, coerente con quanto pensato da chi si occupa di comunicazione visiva.
- Segnaletica delirante: si basa su effettive necessità di comunicazione tra il gestore dei servizi e l’utenza o il personale ma che per tutta una serie di motivi ne viene demandata la realizzazione a persone che, pur con tutta la loro buona volontà, dovrebbero dedicarsi ad altro. Forse non informate sulla “corporate identity” dell’azienda, forse abituate a fare, a prescindere, resta il fatto che talvolta ne scaturisce qualcosa di “delirante” privo di ogni logica, senso estetico/grafica, sintassi e “buon gusto”.
In questo post riporterò un paio di esempi che ho avuto modo di “ammirare” più volte e di cui ancora oggi non mi capacito.
Il primo, riguarda un pittogramma che dovrebbe rappresentare una donna in stato interessante. Non so se è “un’opera” ammirabile in tutti gli ospedali italiani, di sicuro è presente all’Ospedale di Santa Maria Annunziata a Firenze (detto anche ospedale di Ponte a Niccheri).

Sicuramente funzionerà, sarà utilissimo, nessuno mai si lamenterà per ciò che sto per riferire ma, a mio modo di vederla, “le radiazioni ionizzanti” credo che abbiano già mostrato, almeno guardando il pittogramma, evidenti segni della loro potenziale pericolosità.
Solitamente chi realizza pittogrammi dovrebbe tenere conto di alcuni fattori fondamentali.
Il primo: verificare se il concetto/luogo/oggetto/persona da rappresentare con un pittogramma non sia già stato sviluppato in precedenza e che il disegno non sia ampiamente diffuso a tal punto da divenire un soggetto grafico di riferimento, riconoscibile e riconducibile ad un preciso messaggio radicato nell’immaginario collettivo. In tal caso è sconsigliato reinterpretarlo in modo eccessivo poiché il rischio è di perderne l’efficacia. Ad esempio, l’omino e la donnina che rappresentano rispettivamente i bagni pubblici maschili e femminili, in ogni parte del mondo restano quelli, pur con certe caratterizzazioni o modifiche alle proporzioni ma tese unicamente ad armonizzarli con il design dell’ambiente o ad avvicinarli maggiormente al target di utenza (musei, hotel di lusso, asili, ecc). Sono sempre loro, quell’omino e quella donnina che nella nostra mente ricordiamo bene e che chiunque potrebbe riprodurli disegnandoli su un foglio senza doverli guardare per copiarli.
Vuoi realizzare il pittogramma che rappresenta una donna in stato interessante? Bene, poniti prima di tutto dalla sua parte. Credi che voglia essere rappresentata in quel modo?
Il secondo: devono essere comprensibili, leggibili anche da una certa distanza, non offensivi e non confondibili con altri pittogrammi. Questo per evitare che il messaggio venga frainteso, non compreso o, peggio, che possa evocare messaggi negativi.
Terzo: mai mescolanze di stili. Da evitare. Se si prende una strada quella deve restare. Proporzioni, moduli grafici, colori, geometrie, ecc. Prendere un pittogramma “standard” o quantomeno in uso in altri ambiti (come nel nostro caso il bambino nella pancia della mamma) e inserirlo in un pittogramma che ha uno stile grafico differente, rischia di confondere e creare l’effetto “accozzaglia”.
Il pittogramma che rappresenta il “bebè”, visibile ad esempio nelle nursery o nei bagni degli Autogrill o in alcuni centri commerciali dove si vuole indicare la presenza di fasciatoi o di aree riservate ai neonati, se preso e utilizzato in associazione al pittogramma della donna in stato interessante non è logico. Il pittogramma del bebè rappresenta un infante con tanto di pannolino indossato, cosa che vedo difficile che possa avvenire all’interno del grembo materno.
Ribadendo che i due disegni (mamma e bebé) non sono “partoriti” dalla stessa mano ne risulta l’effetto “accozzaglia”. Detto meglio, sono disarmonici.

Ma non finisce qui e, come si usa dire, “i guai non arrivano mai da soli”.
Nel tentativo di caratterizzare questo disegno ne è uscito fuori qualcosa di decisamente delirante. Spero che la mia tesi non trovi una “conferma ufficiale” ma sospetto fortemente che lo studio di questo pittogramma sia stato affrontato con la presunzione di realizzare un logo-pittogramma le cui S.S., acronimo di Servizio Sanitario, sono rappresentate dal movimento delle braccia e gambe della “signora in stato interessante”.
Risultato?
Cosa fa questa madre? Ha le doglie mentre corre? Esegue una danza tribale? Si divincola? Ha subito una forte dose di radiazioni per cui si sta trasformando in qualcosa tipo “supereroe Marvel”?
O peggio…
Perché questa strana posizione che evoca una svastica le cui eventuali S.S. rappresentate dagli arti del soggetto generano un messaggio “nazi-gravido”?

Quindi, l’unione dei due stili grafici è fuorviante, l’associazione bebé in fasce nel grembo materno è del tutto sbagliata e la mamma sembra una svastica che si aggira per l’ospedale.
Però!…
Ma dove andrà mai questa madre? Ve lo dico subito… cerca la “propria sala di esecuzione”.
No, non è uno scherzo.
Sempre “aggirandomi” per ospedali, per motivi di salute di mia madre, nel tentativo di “allietare” quelle ore di attesa, sconforto e di “invito alla depressione”, mi ciuccio tutti i cartelli che mi capitano sott’occhio.
Talvolta è incredibile come “l’homo burocrate” o “logorroicus” ostenti così tanto il bisogno di lasciare un segno del proprio passaggio pur non curandosi dei modi in cui lo fa e perché lo faccia. Vedo intere pareti su cui sono affissi fogli nei formati A3, A4 e A5 e qualche ritaglio di “qualcosa” che convivono in uno stesso contesto. Fogli bianchi, a colori, sbiaditi, fotocopie di fotocopie che si sovrappongono, qualcuno è scollato, altri sono attaccati con nastri adesivi che vanno dal cerotto al nastro isolante, nel mezzo trovi di tutto.
Di solito queste installazioni di “pop-art” sono visibili sulle pareti che circondano finestrelle vetuste, dietro le quali si nasconde un operatore, spesso abbrutito. No, non ce la fa proprio a sorridere ma si può arrivare anche a capirlo. La questione è un’altra: dovrebbe dare delle informazioni puntuali ma spesso si limita a rispondere alle tue lecite domande con un: “ma c’è scritto nel cartello, non lo ha visto?”… Questo quando riesci a sentirlo da dietro quella finestrella.
Non vado oltre, diciamo che il collage e decoupage presenti in queste pareti farebbero invidia a Mimmo Rotella.
Ma veniamo alla questione della “sala delle esecuzioni”.
Questa volta mi trovo presso l’Istituto Ortopedico Toscano IOT, sotto il piazzale Michelangelo a Firenze. Ambulatori di radiologia. Sala di attesa per una MOC.
Mi siedo, attendo. Parlo un po’ con mia madre fin tanto che non la chiamano per sottoporsi all’esame diagnostico. A quel punto comincio il mio solito rituale, forse maniacale lo so. Leggo tutte le informazioni, avvertenze, note, divieti, consigli, ecc. affissi alle pareti che mi circondano.
Il mio occhio cade su questo cartello:
Vorrei conoscere il “creativo” che ha realizzato questo capolavoro. Denota una certa sensibilità che risulta a dir poco agghiacciante:
“Coloro che sono prenotati per il POMERIGGIO (14.00-19.00) non necessitano di Accettazione. Si prega perciò di attendere davanti alla propria sala di esecuzione.“
Mi chiamano. Mia madre ha finito l’esame. Me l’hanno resa viva, evidentemente avevano finito il gas o altre sostanze “utili allo scopo”. Questa volta le è andata bene ma fino a quando?
“Tutto bene mamma”?
“Si, si, un po’ frastornata e infreddolita ma tutto bene.”
“Ci credo mamma”…