Maggie diventa Contagious e forse anche “Celiacus”

Chi si aspetta di vedere Arnold Schwarzenegger nei panni del  “solito Schwarzy” ci resterà piuttosto male…

Contagious_PosterPassano gli anni per tutti, anche per i bodybuilder, per gli eroi, per gli uomini d’acciaio e anche per Arnold Schwarzenegger che come tutti avverte i segni del tempo. Intelligentemente, con Contagious, prova a rimettersi in gioco attraverso un ruolo di attore più consono alla sua attuale fisicità.

Ci prova, attraverso un processo di “deeroinizzazione”, ovvero tramite un percorso che lo porta ad essere “uno qualunque”, un padre che non necessariamente deve essere un eroe per forza (alla Turboman per intenderci) ma lo è nella misura in cui il ruolo del genitore lo porta ad essere per definizione “un eroe” nello svolgere il compito di proteggere il proprio figlio; in questo caso la figlia Maggie.

Arnold Schwarzenegger nel ruolo di Turboman da "Una promessa è una promessa"
Arnold Schwarzenegger nel ruolo di Turboman da “Una promessa è una promessa”

Si cala in un ruolo distante anni luce da quelli a cui siamo abituati a vederlo. In Contagious si priva di ogni corazza o massa muscolare e si veste di amore per la figlia e di speranza per una qualche regressione del necrovirus che ha infettato la sua Maggie.

Nonostante tutto, soprattutto nonostante gli sforzi di Arnold nel cercare di rendere credibile il suo personaggio, né “lui” né il film decollano mai.

La sceneggiatura, curata da John Scott, è portatrice sana (visto che si parla di virus) di numerose falle e la regia di Henry Hobson non riesce a supportare gli sforzi dell’attore, anzi, spesso lo rendono goffo più che provato dal dolore.

Anche la fotografia non convince affatto, basata su schemi ciclicamente ripetuti che vanno dalla quasi totalità delle riprese girate a mano con abuso di “mosso” alle inquadrature del soggetto decentrato su un terzo dello schermo, dai primi piani spinti in cui anche il poro della pelle pare diventare un canyon ai “fuori fuoco” che spesso non capisci se sono voluti o se sono errori di ripresa. Tutto nel vano tentativo di esasperare l’effetto di oppressione, di dramma, di coinvolgimento dello spettatore nella scena ma col risultato che ogni inquadratura stanca divenendo irrequieta, nervosa e difficile da cogliere e da apprezzare.

Lo spettatore non chiede tanto se non di assistere a una storia che abbia un capo e una coda ma ciò a cui assiste è un film “buttato là” che appare come un contenitore che funge solo da pretesto per celebrare un nuovo modo di essere attore per Arnold.

Contagious o Maggie – questo sarebbe il titolo originale del film che ricalca il nome della figlia di Wade Vogel (Arnold Schwarenegger) interpretata da Abigail Breslin – è sempre lì, non va né avanti né indietro innescando nello spettatore un senso di perenne attesa nella speranza di poter assistere, prima o poi, a uno sviluppo o a un colpo di scena che non solo non arriva ma l’attesa finisce per sfiancare portando lo spettatore alla noia e alla stanchezza.

Contagious pare un sequel di se stesso ma con tutte le lacune che si provano a vedere un sequel senza aver visto il prequel.  Tutto è accennato come se ci fosse già stato raccontato in una pellicola precedente guardandosi bene dal dare spiegazioni plausibili e sufficienti per comprendere le origini del dramma.

Si passa da scenari post apocalittici in cui la città, i negozi, gli edifici sono distrutti a situazioni opposte in cui tutto funziona perfettamente, compresi gli smartphone e i servizi pubblici come gli ospedali e le forze di polizia.

Si passa da una città sotto la legge marziale e coprifuoco a un’allegra gita fuori porta tra amici al chiaro di luna, con tanto di tende e zombie tra gli invitati, tra cui Maggie e il fidanzatino Trent (interpretato da Bryce Romero, il cui cognome è tutto un programma), entrambi palesemente infettati ma ancora non zombie da essere pericolosi. Amici sani e malati tutti insieme appassionatamente al campeggio a celebrare vecchi momenti, a parlare di scuola e di futuro ma anche dei compagni e dei professori che non ci sono più perchè oramai deceduti per aver contratto il necrovirus. Ci scappa pure il bacio tra zombie e poi, all’alba, tutti a casa per continuare la propria vita, chi da sano, chi da zombie.

Contagious
Contagious

Si parla di un periodo d’incubazione del virus che mediamente si sviluppa nell’arco di otto settimane, chi più e chi meno, e che l’ultima fase viene di fatto gestita sotto lo stretto controllo del sistema sanitario che obbligatoriamente impone ai “soggetti infetti” lo stato di quarantena coatto in ospedale; fase che poi li accompagnerà alla morte. Durante queste meravigliose otto settimane, tutto è più o meno “normale”, puoi tenerti lo zombettino a casa tua, dargli da mangiare quando ha fame o non darglielo quando non ha fame. L’importante è che tu segua le indicazioni rilasciate dalle autorità sanitarie attraverso l’opuscolo informativo che ti spiega tutto. Se poi lo zombettino ti annusa un po’ troppo di frequente, scambiandoti per una bistecchina alla brace, allora preoccupati, forse il morso ci può scappare ed è arrivato il momento di telefonare alle autorità sanitarie per chiedere di venirselo a prendere…

Non si diventa zombie a caso ma non ci è dato sapere come tutto sia cominciato né come si sia diffuso il necrovirus pandemico. Si fa cenno a qualcosa che viene dal grano, “tanto è vero che ad un certo punto ho pensato che si trattasse di un’evoluzione della celiachia, ribattezzando questo blob in Celiacus” ma poi pare che si propaghi attraverso i morsi di altri contagiati. “Resta però da capire se è colpa di qualche seme di grano modificato OGM della Monsanto o se ha altre origini”. Per non sbagliare, intanto, diamo fuoco ai campi di grano, poi si starà a vedere.

Ecco, nella scena in cui Arnold si decide a dar fuoco al proprio campo di grano (ebbene sì, pare che in questo film faccia il contadino o almeno lo faceva prima dell’epidemia), ho avuto per un attimo un sussulto, una fievole speranza che il film volgesse al meglio. Ho intravisto l’autocelebrazione della famosa scena in Predator in cui Dutch (Arnold Schwarzenegger) attrae Predator per affrontarlo nella battaglia finale dando alle fiamme una torcia e cacciando un urlo primordiale col quale squarcia il silenzio e le tenebre della giungla.

Speranza che di lì a poco si è trasformata in una totale delusione. Il regista non ci dà neppure la “soddisfazione” di vedere la torcia volteggiare sul campo di grano per poi rovinarsi a terra ed incendiarlo. Ci lascia con un “cerino in mano” (è il caso di dirlo) in cui un istante prima si vede Arnold con la fiaccola in mano e l’istante dopo il campo in fiamme; neppure il “gesto atletico”, nessun urlo di disperazione e sfogo per la situazione, nessun Predator -per carità- ma non veniamo neppure ricompensati da una proverbiale e sempre gradita apparizione della “mandria” di zombie incazzati e arrostiti che sfumacchianti avrebbe potuto avanzare incontro ad Arnold arricchendo un po’ il brodo… Nulla, tutto resta immutato, tranne il campo di grano che finisce in fumo e con lui ogni speranza di poter vedere una qualche scena, non dico azione ma almeno, un po’sopra le righe.

Probabilmente questa è l'unica scena in cui la macchina da presa è posizionata su un cavalletto.
Una delle poche, forse l’unica scena in cui la macchina da presa è posizionata su un cavalletto.

Contagious non è un action movie, non è nemmeno un film di zombie alla Romero o alla Walking Dead. Non è nemmeno un film di dell’orrore… insomma, non so cosa può essere. Ci sono gli zombie, pochi, troppo pochi e non sono comunque loro i protagonisti. Non ci sono scene terrificanti o un po’ spaventose o al limite un po’ splatter, nulla di tutto questo.

C”è un padre abbrutito con una figlia zombie e adolescente (non si sa quale sia il male peggiore) che non perde un etto nonostante la “zombite acuta”.

Ci sono campi di grano dati alle fiamme, ovunque e sempre fumanti.

C’è un vecchio furgone pickup, con la cinghia da registrare che cigola, che probabilmente piaceva tanto alla precedente moglie di Wade Vogel, ovviamente morta.

Ci sono due poliziotti, uno buono e uno scemo.

Ci sono dei vicini di casa e degli amici che non si sa bene come siano finiti nella storia.

C’è il fidanzatino di Maggie la cui presenza rende Contagious più simile ad un film stile “american idiots” che ad un film drammatico.

Ci sono dei medici, alcuni con mascherine anti contagio e altri che visitano inalando l’aria espirata dai pazienti infetti come se non potessero essere a loro volta infettati per via aerea.

C’è lui, Arnold… lo si accetta, quasi lo si sopporta ma non gli si riesce a perdonare la totale mancanza di quell’adrenalinico momento di rivalsa che lo ha sempre caratterizzato nei suoi personaggi. E’ lì, poi sparisce per un po’, non si sa dove sia finito, poi riappare, piange, vaga solitario, ha piantato le margherite nel nulla, o meglio, in un luogo che il regista vuol farci passare per “il giardino della moglie morta” ma che si trova in mezzo al bosco. Abbraccia la figlia, sospira, mostra le rughe, tante, forse anche troppe. Talvolta pare che sia lì per sovvertire quel sistema che impone la fase di quarantena a cui, prima o poi, si presume dovrà privarlo definitivamente della figlia ma… non lo fa mai. Sì, fa pure a botte con uno dei poliziotti, quello scemo, ma solo perché costretto, appunto, dal gesto scemo dello scemo.

Arnold è’ sempre lì, sono uscito dal cinema e lui è rimasto lì. Maggie fa quello che deve fare ma lui è lì. Sono convinto che Arnold sia ancora lì, adesso.

Trailer italiano:

In conclusione, Arnold ci ha provato. Forse per qualcuno ci è pure riuscito, per me no. Non bastano delle lacrime e un volto segnato dal dolore (o dai reumatismi) per trasformare un attore d’azione di successo planetario in uno drammatico. L’unica cosa “mostruosa” che ha questo film è la noia che riesce a trasmettere nello spettatore che diventa virale a tal punto che lo spettatore stesso, all’uscita del cinema, viene scambiato per uno zombie.

Trailer originale:

Approfondimenti:

Pubblicità

Tonno subito con Kevin Costner

Mi sono immaginato una sala riunioni all’interno di un’agenzia di comunicazione. Quegli ambienti luminosi, grandi, dove sono riuniti creativi, tecnici, agenti e… lui… il testimonial al quale viene illustrata l’idea per realizzare il nuovo spot per Rio Mare.

Consulente dell’agenzia:  Buongiorno Sig. Costner come sta? (se il testimonial è straniero di solito il Consulente si rivolge dandogli del LEI perché è risaputo che nella lingua inglese dare del LEI ha un certo peso).

Costner: Goodmorodwlewesf Mr. ? (gli americani biascicano un po’ e anche un semplice saluto può risultare, a tratti, incomprensibile)

Consulente dell’agenzia:  Ah.. Sì, bene… (non ha capito una mazza e neppure che la frase leggermente interrogativa pretendeva una presentazione).

Consulente dell’agenzia:  Mr. Costner (rivolgendosi all’attore ma guardando il suo interprete). Lei mangia tonno?

Costner: Tionnnno? (replica l’attore lupo ballante, un po’ titubante sul termine tonno)

Interprete:  Biscibisci, BisciBisciTonno = Tuna (l’interprete del Sig. Kostner gli sussurra alcune parole e la spiegazione della parola Tonno)

Costner: Hooou! Yea! I eat arfasganauei lo Tonnoammare uitabaut the bookisondetable (replica l’attore entusiasta e un po’ affamato).

Consulente dell’agenzia:  Benissimo Sig. Costner! Benissimo!! (sfoderando i suoi denti da pescecane e senza attendere la traduzione dall’interprete dell’attore. Il Consulente è sempre troppo avanti per attendere). Lo dicevo IO che LEI era il nostro uomo, la persona adatta a rappresentare il prodotto dell’azienda per cui realizzeremo questo fantastico spot.

Costner: But… SorryNoBonus… But… I thinkosadovreifare Mindegap!?

Consulente dell’agenzia:  Pensi al mare, la costiera amalfitana, il sole, un bel porto, un faro, belle signore, lei che abita dentro a un faro.

Costner: Fa-ro? (sempre più perplesso)

Interprete:  Biscibisci, BisciBisciFaro=Lighthouse (ecco che arriva la spiegazione di faro)

Costner: Ah! Yea! Laigtausganauei! Beautifull Laitaus, uanderfull! (sorride; è contento lui).

Consulente dell’agenzia:  Ottimo signor Kostner! (gli scappa pure una “K” di troppo). Me-ra-vi-gli-so! Lo sapevo! Possiamo quindi cominciare subito. Lei sarà prelevato dal suo albergo, portato in uno studio televisivo dove abbiamo già costruito il meraviglioso set del famoso faro di Amalfi e lei reciterà un paio di battute mentre prepara il tonno alle sue commensali venute appositamente a darle il benvenuto perchè attratte dal suo fascino mediterraneo.

Momento di silenzio…

Interprete:  Biscibisci, BisciBisciLighthouse Biscibisci, BisciBisciSea, BisciBisciFood e Mediterraneo

Nella mente del Sig. Costner:  Bene, questi mi portano ad Amalfi, mi regalano un faro, mi invitano a pranzo a mangiare il tonno in compagnia di alcune belle signore e mi pagano pure. Mah!

Vedendolo un po’ tra le nuvole, l’interprete del Sig. Costner interviene.

Interprete:  Mr. Costner BiscibisciSpot, BiscibisciAdvertising, BiscibisciJob&Opportunity

Costner: Aaaaaaah! Uork for mi? Yeaaa! I donanderstend! Ok, Ok!

Nella mente del Sig. Costner:  Caspita, stavo facendo una bella figura di shit! Ok, vogliono che interpreti un personaggio in un faro. Forse dovrò tornare a calarmi nella parte di Ben Randall che ho interpretato in “The Guardian – Salvataggio in mare” quando facevo la guardia costiera. Che un successone di film!! Un bel ruolo d’azione e drammatico. Mi piace! Ma se lo chiedo me la daranno una mazza da baseball? Non recito senza almeno una mazza da baseball sul set.

Consulente dell’agenzia:  Ecco Sig. Costner, queste sono le battute che dovrà recitare; “Ciao!… Mangiate con me?” poi quando le signore diranno: “Come mai in Italia”, lei risponderà: “Perchè avete una grande cucina e un grande tonno… Hummmm, Rio Mare, così… Buonissimo”, infine, una delle tre commensali, un po’ imbarazzata e arrossita, dirà, timidamente: “Che tenero” e lei chiuderà magistralmente esclamando: “Si taglia con un grissino… Rio Mare…So Good!”.

Costner arriva in studio, vede il set, il piatto col tonno in scatola e si rende conto che “quel posto” non è Amalfi.

Nella mente del Sig. Costner:  Eppure non mi era sembrato di aver chiesto tanto per questo lavoro. Almeno del tonno fresco potevano pure darmelo. Dopotutto sono Ben Randall, una guardia costiera massiccia!

Dove sarà la mia mazza da baseball? Ma almeno un guantone da baseball ci sarà qui? E’ buio… il grano… ecco arrivano… i giocatori di baseball…

ben_randall

Lo spot:

300 Rise of an Empire – una locandina dall’effetto “interessante”

Amo questo genere di film. E’ l’evoluzione e l’attualizzazione del cinema peplum che ha imperversato un po’ ovunque tra gli anni ’50 e ’60 e di cui l’Italia è stata fucina instancabile di pellicole meravigliose.

Zack Snider ha rilanciato questo filone cinematografico grazie al film 300, trasferendo sullo schermo l’omonimo graphic novel di Frank Miller. Siamo nel 2007 e nasce un nuovo modo di fare cinema, soprattutto quello che narra di eroi, battaglie ed epopee. Racconti meravigliosi che tracciano una linea sottile tra il fantasy e gli eventi storici, legando arte, storia, letteratura e tecniche digitali incredibili, riprese magistralmente anche nella serie televisiva Spartacus realizzata dalla Starz.

2014, dopo il prevedibile successo di “300”, arriva al cinema un nuovo film che ripercorre il solco lasciato dal suo predecessore, non creando de facto un sequel ma spostando la narrazione degli eventi su un altro luogo all’interno di un altra battaglia. Il film è “300 Rise of an Empire“, in italiano “300 l’Alba di un impero”, ruota attorno alla battaglia tra  Greci e Persiani nello stesso periodo storico che vide sconfitto l’esercito dei 300 uomini di Leonida alle Termopili. Questa volta siamo a Capo Artemisio e i contendenti sono l’ateniese Temistocle e la regina di Caria (attuale Turchia), Artemisia I, alleata di Serse I di Persia.

Storia a parte, anche perché questo genere di film non ha la presunzione di raccontare in termini storiografici le suddette vicende, non ho ancora visto questa pellicola ma la mia attenzione è già stata catturata dalla locandina del film.

A prima vista ho avuto un sussulto nel vedere il prode guerriero ritratto in quell’insolita ed equivoca postura. Fino a quel momento ignoravo chi fosse, poi sono andato a leggermi la trama del film e le vicende storiche trattate e ho scoperto che il personaggio raffigurato è Temistocle, interpretato dall’attore australiano Sullivan Stapleton.

Bene, saputo questo, tanto piacere, resta il dubbio del perché della scelta di quella postura che diviene ancor più strana grazie alla presenza dello scudo da guerra, qui rappresentato dalla parte interna, che diviene tutt’uno con la silhouette di Temistocle.

Guardate bene la locandina e ditemi se a colpo d’occhio non vi pare un uomo in stato interessante.

Locandina - 300 Rise of an Empire
Locandina – 300 Rise of an Empire

Capisco bene che l’intento della produzione, forse anche del regista e dei grafici, fosse quello di rappresentare un eroe, deluso, affranto, stanco, ecc. ma credo che un eroe, in quanto tale, anche al culmine della battaglia e consapevole della sua disfatta, abbia in cuor suo ancora un barlume di dignità e forza.

Credo che la rappresentazione di questo eroe non dovesse essere caratterizzata dal capo chino e lo scudo in totale ombra, che ripeto, a colpo d’occhio diventa un’appendice del suo corpo facendo sembrare Temistocle al nono mese di gravidanza (o forse più). Pur nel dolore e nella miseria della sconfitta, è pur sempre un combattente che non piega il capo ma al limite lo alza al cielo, imprecando o invocando gli dei a cui crede consegnando loro la sua anima per condurla nell’ade.

Così vedo il carattere degli eroi…

Visto che la visione di questa locandina mi tornava alla mente, ho deciso di rivederla un po’, cercando di allontanare Temistocle dall’immagine di uomo meschino, finito e incinto, restituendogli, a mio modo di vedere, quella di eroe piegato dalla battaglia ma non spezzato, con la sua spada e lo scudo che recano i segni della lotta. Piccoli interventi di fotoritocco per restituire dignità a un grande eroe.

A sinistra trovate il poster originale e a destra quello che ho reinterpretato “a modo mio”.

300Rise

Che ne pensate?

Sabotage – Schwarzenegger torna sul grande schermo e il fan club italiano lo celebra

E così, dopo ESCAPE PLAN, l’ultima pellicola che ha visto Arnold Schwarzenegger e Sylvester Stallone ancora una volta insieme a combattere per la libertà e la giustizia, arriva nelle sale cinematografiche SABOTAGE il nuovo film con Arnold Schwarzenegger.

Sabotage - film poster
Sabotage – film poster

In realtà mentre vi scrivo non si sa ancora bene quando questo film arriverà in Italia. Non è stato ufficializzato nulla in merito. Quello che è certo è che negli USA uscirà il 28 marzo, per la gioia dei fans statunitensi della quercia austriaca che potranno rivederlo cimentarsi in un action movie ricco di adrenalina, esplosioni e… tanto sangue.

Chi mi segue conosce le mie passioni, chi approda adesso su questo blog, giusto per capire con chi ha a che fare, consiglio di visitare questa pagina nella quale racconto del “mio amico Arnold“.

Detto ciò, il fan club italiano di Arnold Schwarzenegger, di cui posso vantare di avere come amico il fondatore e curatore del sito web, ha preparato il nuovo fan site dedicato a questa pellicola di prossima uscita.

Chi è interessato a sapere qualcosa su Sabotage, prima ancora intitolato TEN, lo può fare visitando la nostra pagina http://www.schwarzenegger.it/sabotage.html

Testatina del fan site dedicato a Sabotage
Testatina del fan site dedicato a Sabotage

Nostra perché insieme a Paolo, il fondatore del fan site, ho contribuito a realizzare il sito. Da parte mia occupandomi della grafica mentre Paolo del montaggio, di tutti i contenuti e degli aggiornamenti che verranno inseriti da qui all’uscita del film in Italia.

Un nostro piccolo tributo da affezionati di Arnold che prosegue in questo cammino di fan da oramai qualche decennio (non specifichiamo quanti con esattezza) che ha coinvolto le nostre vite e quelle delle nostre famiglie, loro malgrado.

Quindi, amanti dell’action movie anni ’80 e soprattutto della quercia, vecchia ma sempre quercia austriaca, godetevi questo omaggio ad Arnold.

Altri fan site realizzati da me e Paolo:

Lo spot J’adore di Christian Dior.

Spesso ciò che vediamo in tv negli spot pubblicitari è una sintesi di quello che i grandi brand hanno realizzato e che, per fortuna, possiamo apprezzare nella loro interezza grazie al web.

Fino a qualche anno fa non avrei mai immaginato di arrivare ad affermare cose del genere: “apprezzare nella loro interezza” e “per fortuna”, in riferimento ad uno spot televisivo. Oggi ritengo che ci siano delle pubblicità che per la qualità raggiunta talvolta surclassano il programma televisivo in cui vengono inserite.

Uno di questi è il nuovo spot della casa di moda francese Christian Dior che è stato sviluppato per promuovere il celebre profumo J’adore. La celebre maison di moda non poteva permettersi di rilanciare il suo prodotto percorrendo i soliti cliché che il settore delle essenze profumate ha percorso e rincorso per decenni. Bei modelli, belle modelle, testimonial famosi, palazzi lussuosi, vie di Parigi, tutto molto fashion, ben confezionato ma assolutamente visto e rivisto. Talvolta potresti prendere uno dei qualsiasi spot di profumi, sostituire la griffe con un’altra e andrebbe bene comunque.

Col nuovo spot 2013, permettetemi il gioco di parole, J’adore ritrova la propria essenza e Dior riesce ad attribuire a questo profumo una veste completamente nuova. Non tradisce lo stile e la propria identità che per quasi quindici anni ha saputo conquistarsi affermandosi nel mercato mondiale della bellezza. Con questo spot assistiamo ad un vero e proprio percorso olfattivo apprezzabile attraverso le immagini. Occhi e orecchie fondono le stimolazioni sensoriali facendoci pervenire l’aroma del profumo che riesce a conquistare lo spettatore fotogramma dopo fotogramma. Il percorso narrativo è articolato e ben si può apprezzare nella sua interezza grazie alla versione estesa da 2′:50″ che ci regala momenti fantastici, magistralmente sottolineati da una fotografia in grado di gestire la luce in modo perfetto.

Contrasti di colore, inquadrature con fuori fuoco e focus su ciò che il regista vuole mostrarci con più enfasi. Fiori, petali, la luce che filtra tra le foglie, la freschezza del mattino annunciata dai raggi di sole che colpiscono la rugiada facendola rispendere. Il mare, campi, la materia che viene dal fuoco e che si plasma per diventare la goccia di vetro che successivamente accoglierà e custodirà la preziosa essenza profumata. Il lavoro del maestro orafo che lavora col bulino per incidere il tappo del prodotto che per il suo design potrebbe essere da solo un vero e proprio gioiello.

Un percorso visivo sublime che riassume e trasferisce ad un livello superiore i momenti più salienti della realizzazione del profumo J’adore. In questo spot si condensa tutta l’essenza del profumo stesso e del marchio Christian Dior. La conclusione è perfetta perché sarà la luce stessa a disegnare la bottiglia che si delinea dal nero dello schermo mostrando progressivamente il proprio profilo regalandoci ancora una volta un’ulteriore essenza che è quella della forma, realizzata dal designer Hervé Van Der Straeten.

Lo spot sarebbe solo bello se non fosse accompagnato da una meravigliosa musica che lo rende magnifico e coinvolgente grazie all’ “Adagio in D Minore” (Sunshine theme) nell’arrangiamento di John Murphy (Chaos Music Publishing).

Spot 01 – J’adore ‘Le Parfum’ – The Film – Durata 2′:50″

Spot 02 – J’adore ‘Le Parfum’- Spot 60″

Documentario – J’adore Dior ‘Le Parfum’ – The Film – Full Version – Durata 22′:08″

Crediti e approfondimenti:

Ender’s Games – Secondo post: “tecnico”

Eccoci insieme per parlare nuovamente di cinema e soprattutto di effetti visivi e di quello che si nasconde dietro la cinepresa. Questa volta tocca a Ender’s Games di Gavin Hood.

Mi piace approfondire alcuni aspetti legati alla realizzazione dei film, soprattutto dove vengono impiegati gli effetti speciali. Quei film che una volta usciti dalla sala amiamo commentare con gli amici e con i quali viene da chiederci: “ma come hanno fatto a realizzare quella scena?”. Ecco, domandandomi spesso questa cosa e non piacendomi restare con un punto di domanda impresso in volto, cerco delle risposte in rete.

Ender's Games
Ender’s Games

Entriamo quindi nel mondo degli effetti speciali di Ender’s Games. Per tutti i commenti al film, quelli più emozionali e meno tecnici, vi rimando al mio precedente post: Ender’s Games – interessante ma non indimenticabile, da vedere ma anche no. Primo post: “emozionale”.

Innanzitutto va detto che il film è co-prodotto dalla Digital Domain, azienda leader nel settore degli effetti visivi con diverse sedi in California e Canada. DD è impegnata da anni nella produzione di effetti digitali per il cinema, la pubblicità e i games. Una decisione che ha permesso di contenere i costi di realizzazione del film a fronte di un grosso contributo tecnico coordinato dal supervisore degli effetti visivi Matthew Butler.

Sono molte le scene che hanno coinvolto la Digital Domanin tra cui la “palestra di addestramento” a zero G, le scene nella grotta di simulazione di guerra immersiva, il pianeta dei Formic, le battaglie nello spazio e quella sulla Terra tra le nubi, ingaggiata tra i caccia da combattimento terrestri e le navette da guerra dei Formic. Per chi non avesse visto ancora il film i Formic sono gli alieni simili a formiche giganti.

Ender's Games - Backstage su ComingSoon.it
Ender’s Games – Backstage su ComingSoon.it

Le scene nella camera a zero G hanno richiesto da parte degli attori una particolare preparazione atletica coadiuvata da personal coach reclutati direttamente dal cast del Cirque du Soleil . Ma non solo, i giovani attori sono stati addestrati anche presso lo Space Camp della U.S. Space & Rocket Center in Huntsville e assistiti da astronauti veri.

Asa Butterfield e Khylin Rhambo durante le simulazioni spaziali allo Space Camp in preparazione per le riprese di "Ender's Game"
Asa Butterfield e Khylin Rhambo durante le simulazioni spaziali allo Space Camp in preparazione per le riprese di “Ender’s Game”

Le particolari coreografie eseguite dagli attori su cavi, su tappeti e braccia meccaniche sono state riprese con telecamere in grado di girare col formato sorgente RedCode RAW in 5K (5120×2700 pixel) trasferite successivamente in 2K (2048x1080pixel) per la realizzazione del master. Il sistema Red, oltretutto, permette di girare mantenendo le caratteristiche del file digitale simili a quelle del file RAW nella fotografia. Un file “nativo” o “grezzo” elaborabile in post produzione grazie al quale è possibile ottenere una gestione completa sull’esposizione e il bilanciamento del bianco. Un sistema che ha permesso di girare interamente in digitale verificando le scene in tempo reale.

L’impiego della performance capture ha permesso di riprendere i corpi e i volti degli attori e di utilizzarli separatamente. In post produzione sono stati ricostruiti i modelli 3D degli attori che sono stati integrati nelle scene e animati “ricalcando” i movimenti reali compiuti sul set. Sui corpi digitali sono stati inseriti i volti degli attori e le scene sono state completata inserendovi le scenografie virtuali e/o parti di scenografia reali. In sostanza, nelle sequenze in cui si vedono gli addestramenti a zero G le uniche parti reali della scena sono i volti degli attori e l’elemento scenografico che caratterizza il portale di accesso dalla zona con la gravità a quella a zero G. Spesso anche i cristalli dei caschi che proteggono i volti degli attori sono stati ricostruiti grazie alla computer grafica. Questo ha permesso di tenere sotto il controllo dinamico computerizzato riflessi e luci sulla superficie trasparente sincronizzando il movimento dell’illuminazione reale a LED con quella delle luci virtuali generate in post produzione.

La sala della guerra, realizzata nella grotta dei Formic, è praticamente un ambiente per lo più realizzato in computer grafica. Le interazioni tra personaggi, l’ambiente e le scene olografiche della battaglia hanno richiesto molte ore di lavoro da parte dei tecnici della Digital Domain. Oltre 27 miliardi di poligoni compongono i solidi presenti nella scena dalla battaglia nella quale sono presenti circa 300,000 navi, tra droni e astronavi, tutti da renderizzare per diversi minuti di battaglia.

Un film di grande impatto visivo anche se a tratti risulta non essere proprio originale riportando alla mente un’iconografia che pesca direttamente da film di genere fantascientifico che lo hanno preceduto.

Crediti e Link di approfondimento::

Location del film:

Software 3D e motori rendering:

Effetti Speciali:

C’era una volta Noè della Genesi e c’è adesso Noah di Hollywood

C’era una volta Dio che si arrabbiò con gli uomini perché dediti all’odio, alle guerre, al potere e a tante altre attività “ludico ricreative”.

NOAH - il film
NOAH – il film

Ma Dio, essendo Dio,  prima di manifestare la sua ira contro l’umanità chiamò Noè, un agricoltore che fino a quel momento pensava a zappare la sua terra e ad accudire qualche animale. Dio gli chiese.. hem… lo persuase a costruire l’arca per salvare dall’imminente diluvio universale, 7 coppie tra gli animali puri ed una coppia di tutti gli altri animali. Un nulla, insomma. Sì, però gli disse anche che avrebbe potuto portare con sé la sua famiglia. E vai!

Così venne il diluvio universale, poi finì il diluvio e Noè visse 950 anni circondato da pronipoti e tutte le generazioni future degli animali che aveva salvato. Mi sa proprio che portò con sé pure le zanzare…

Comunque, a grandi linee è quello che più o meno sappiamo di Noè, almeno tra noi non teologi e non eccessivi praticanti cristiani.  Poi, arrivò Hollywood che trasformò Noè in un figone di nome Noah (uno dei vari modi di scrivere questo nome tra le religioni abramitiche) interpretato da Russell Crowe e il racconto di Noè di cui sopra si trasformò in questo.

Sarei curioso di vedere la trasposizione cinematografica in chiave hollywoodiana della vita e soprattutto della visione del carro di fuoco avuta del profeta Ezechiele. Sono convinto che i Transformers a confronto dovremmo paragonarli a Piccole Donne.

Non male come strategia commerciale, soprattutto in tempi di crisi. Realizzare film sui supereroi dei fumetti comporta esborsi notevoli in royalties. Con le storie bibliche e tutto ciò che hanno in serbo puoi realizzare filmoni pieni di effetti speciali ad oltranza e, soprattutto non hai da pagare i diritti d’autore. O sbaglio? C’è ancora in vita qualche erede di Noè?

Crediti:

Skinwalker Ranch. Sci-fi e paranormale in chiave documentaristica.

Skinwalker Ranch, uscita USA 30 ottobre 2013.

Skinwalker Ranch - poster del film
Skinwalker Ranch – poster del film

La regia è dell’attore, produttore e ovviamente regista Devin McGinn

Un film tratta dell’argomento UFO, alieni e di presunti abduction o, per chi non mastica termini da nerds, “rapiti dagli alieni”. Ennesimo film, pseudo documentaristico ispirato a fatti realmente accaduti.

Il film ruota attorno all’episodio più eclatante di una lunga serie a cui la famiglia americana, proprietaria dello Skinwalker Ranch, ha dovuto assistere e di cui è stata vittima. Avvistamenti UFO, mutilazioni di bestiame e, infine, il rapimento del figlio Cody di 11 anni.

Per certi versi questo film si riallaccia ad altre pellicole simili, più o meno celebri. Senza andare a scomodare quelle più conosciute come “Incontri ravvicinati del terzo tipo” (titolo originale: “Close Encounters of the Third Kind”). Parlo invece di quei film più di nicchia, che pare escano da un cassetto degli X-Files, fatti solo per “gli intenditori” o “appassionati” di mistero e ufologia. Quei film girati con budget limitati e  “che hanno il sapore di vero”. Per esempio: “Il quarto tipo” (titolo originale “The Fourth Kind”) del 2009 in cui fenomeni di abduction, avvenuti in un paesino dell’Alaska, venivano indagati attraverso l’ipnosi da uno psicologo. Oppure, altro interessante film che riprende l’argomento UFO e abduction, il più datato: “Bagliori nel buio” (titolo originale: “Fire in the Sky”) del 1992, che vede come protagonisti tre boscaioli dell’Arizona  testimoni di un evento che mette al centro della pellicola la scomparsa di uno dei tre, catturato da un raggio di luce. I due rimasti sconvolti per l’accaduto vengono sospettati dalla polizia di omicidio ma dopo una settimana, il collega e amico, ricompare, confuso e privo di ricordi della settimana appena trascorsa.

Skinwalker Ranch non è certo uno di quei film in cui gli effetti visivi sono i protagonisti assieme agli attori, talvolta, in assoluto. Il taglio documentaristico, le riprese con la camera a spalla, volutamente mosse, e la bassa qualità delle immagini che richiama ai filmati “domestici”, contribuiscono a rendere questo film “più vero” e a creare un ulteriore alone di mistero intorno alla vicenda,  tutt’oggi ancora inspiegabile. Per molti aspetti lo stile di ripresa ricorda “Paranormal activity” o, tornando più indietro nel tempo a “The Blair Witch Project” il film che ha aperto le porte al genere dei film “live cam”.

Crediti:

Approfondimenti sugli eventi avvenuti allo Skinwalker Ranch:

  • Sito web che raccoglie documenti interviste foto e video sugli eventi accaduti nella zona a partire dagli anni 1970.

Questo è il trailer: