Stamani ero a Firenze in Piazza Santa Croce, invitato dal Rotary Club San Casciano Chianti, per parlare del cancro al seno maschile presso il punto di prevenzione Lilt Firenze Onlus dove era presente anche l’unità mobile mammografica ISPRO congiuntamente ad una unità mobile per visite oculistiche gratuite ai cittadini..
In generale è stata un’occasione importante per parlare e fare prevenzione. Per quanto mi riguarda è stata un’opportunità per sensibilizzare gli astanti sul tema del cancro al seno anche come un problema che riguarda gli uomini.
Ho parlato con tante persone, alcune delle quali, non nascondendo il loro stupore, non sapevano che anche l’uomo può avere un cancro al seno.
Sono questi i momenti che permettono di fare la differenza. La prevenzione comincia dall’informazione: se non sai non previeni, se conosci puoi capire, puoi prevenire e nel caso affrontare meglio la malattia. Se non altro la mia storia arriva laddove, talvolta, “parole già sentite” sulla prevenzione rischiano di diventare una sorta di “tormentone”, distante dal reale significato del termine. Sono una sorta di “sveglia” verso un problema, maschile e femminile.
Ho avuto modo di dialogare anche con uno dei due operatori medici/tecnici presenti all’interno dell’unità mobile per la mammografia. Molto gentile e disponibile ma come spesso accade, parlando con “addetti ai lavori”, sento solo numeri e percentuali.
C’è un’attenzione, giusta, giustissima, verso le donne perché è tra loro che si riscontra maggiormente questa neoplasia. Il problema è che allo stesso tempo NON si guarda affatto o pochissimo allo stesso problema che, guarda caso, si può verificare anche negli uomini.
Il mio pensiero, che ho esternato agli operatori del settore e a tutti i presenti, è molto semplice: fino a quando vedremo il problema CANCRO AL SENO tenendo in considerazione solo le percentuali, vedremo soltanto numeri: 53.000 donne e 500 uomini (dati rilevati da: I numeri del cancro in Italia 2019 – versione per operatori, redatto da Aiom, Airtum, PASSI e PASSI d’Argento Istituto Superiore di Sanità, SIAPEC -IAP – TABELLA 5. Numero di nuovi casi tumorali, totale e per alcune delle principali sedi, stimati per il 2019).
A mio parere la cosa è sostanzialmente diversa: dobbiamo parlare di 53.500 persone che hanno bisogno di essere ascoltate, guidate e se possibile anche guarite. Altrimenti, e qui mi rivolgo ai medici, alla ricerca ma anche alla politica, dovete ridefinire e relegare il cancro al seno maschile in un altro contesto, dandogli un altro nome, dichiarando, “finalmente”, e per buona pace di tutti, che il cancro al seno è solo un problema femminile e che “l’altro” è effettivamente una malattia rara, ma non è un cancro al seno.
Vogliamo quindi parlare di “Cancro al pettorale? Cancro villoso? Cancro più su della prostata?”
Non lo so, vogliamo continuare a pensare col solito atteggiamento del divide et impera?
Il CANCRO AL SENO riguarda entrambi i sessi; ok per le percentuali, ok per l’attenzione verso la donna ma non si giustifica una disattenzione che spesso sfocia in un atteggiamento omertoso verso questa neoplasia nei confronti degli uomini. Aggiungo, per giunta, uomini poi costretti ad utilizzare farmaci studiati per le donne, nati talvolta per altri scopi, come il Tamoxifene. A tal proposito riporto fedelmente da Wikipedia:
“Lo sviluppo del tamoxifene ha origine da un’area di ricerca che aveva un ampio interesse negli anni 60 del Novecento, ovvero quella che riguardava i farmaci contraccettivi; si era visto infatti inizialmente che gli antiestrogeni avevano attività come contraccettivi post-coitalinegli animali da esperimento, ma nell’uomo poi si vide che inducevano l’ovulazione in donne subfertili. L’interesse verso gli antiestrogeni in questo ambito svanì quindi con questa evidenza clinica, ma il fallimento di questa applicazione diventò un’opportunità per sviluppare dei farmaci contro il tumore alla mammella”
Ora… secondo voi… se in molti casi questo farmaco dà problemi ad una donna (lo so perché ne parlo con diverse amiche e conoscenti che lo hanno dovuto utilizzare o lo stanno tutt’ora assumendo), volete immaginarvi cosa può causare ad un uomo? Vogliamo parlare anche di questi problemi?
Per chiarezza, sto generalizzando: tra tanti uomini che lo hanno assunto, me compreso, ho trovato chi ha avuto problemi, seri, pesi e chi lo ha preso senza manifestare particolari sintomi.
Detto ciò, non chiediamo screening preventivi, sarebbe già un balzo in avanti di proporzioni storiche. Chiediamo almeno che si faccia informazione, senza fare allarmismo, perché non c’è nessun motivo per farlo, ma almeno parliamone.
Mia madre ha avuto due volte il cancro al seno. Mia nonna paterna lo ha avuto. Nessun medico durante i follow’up di mia madre mi ha mai parlato di questa possibilità, se pur remota, fino a quando poi, grazie a mia moglie che mi ha letteralmente costretto a fare un’ecografia, mi è stato diagnosticato, dopo ulteriori esami, un carcinoma duttale infiltrante alla mammella sinistra. Fino ad allora nessuno mi aveva informato o vagamente insinuato nella mente il cosiddetto “ragionevole dubbio”…
Allora… sta a tutti noi, donne e uomini, insieme, fare la differenza. Evitiamo le discriminazioni, cerchiamo di essere coesi contro un male che affligge l’umanità. Parliamo di prevenzione, anche di nastri rosa ma con un’attenzione rivolta ad entrambi i sessi.
Se poi qualcuno ha piacere di parlare di percentuali e di tenere divise le cose mi va pure bene ma dateci almeno dei farmaci studiati per “questa cosa che viene agli UOMINI”.
…e, comunque… IL CANCRO AL SENO NON E’ SOLO ROBA DA FEMMINE. Clicca Mi Piace e segui la pagina Facebook @CancroAlSenoMaschile
Ringrazio il Rotary Club San Casciano Chianti per avermi invitato, in particolare il Presidente Leandro Galletti e Serena Binazzi
Ho deciso di parlarvi di chemioterapia; di quella a cui mi sono sottoposto.
Ho deciso di farlo per dare un messaggio a coloro che si trovano a dover affrontare un percorso chemioterapico e in questo momento vivono un conflitto interiore dominato da mille domande e altrettante incertezze.
Ho deciso di farlo per informare i parenti dei pazienti oncologici che sono coinvolti emotivamente in questo percorso e che necessitano di informazioni “meno istituzionali” e più pratiche: da chi ha provato sulla propria pelle un trattamento chemioterapico.
Vi racconterò cosa ho vissuto, per darvi modo di capire e forse di trovare qualche argomento utile per aiutarvi ad affrontare con più consapevolezza il vostro percorso.
Se siete di quelli che preferiscono “affidarsi”, senza sapere, il mio consiglio è di NON proseguire nella lettura di questo post. Diversamente, se siete tra quelli che hanno bisogno di avere elementi concreti per elaborare un proprio pensiero, ecco che questo post potrebbe offrirvi quanto state cercando.
NOTA per i più sensibili: Più avanti troverete un paio di foto che mostrano: una l’infusore automatico per chemioterapia e l’altra il mio braccio sul quale è applicato l’ago col relativo cannello per la somministrazione dei farmaci. Avvertiti…
Usando una metafora cinematografica, questo post è uno “spoiler” su quanto avviene, in certe condizioni, per certe forme di cancro, durante il trattamento chemioterapico.
Prima di tutto ci tengo a precisare che NON sono un medico ma un ex, spero, malato dicancro al seno. Sono un uomo tra quei 130 casi circa all’anno che in Italia coinvolgono la popolazione maschile con questo “alieno”.
Altra cosa che mi preme riportare in queste righe è che NON esiste “LA” chemio ma esistono vari trattamenti chemioterapici, ognuno formulato per una specifica neoplasia.
Non solo, per la stessa forma di cancro non esistono trattamenti identici. Ogni terapizzato viene sottoposto a serie valutazioni da parte del GOM (Gruppo Oncologico Multidisciplinare) che raggruppa vari medici specializzati in vari campi della medicina che prendono in esame ogni singolo caso, lo studiano e di concerto decidono quale specifico protocollo terapeutico adottare. Ogni GOM stabilisce tempi, dosi e tipologia di farmaci da impiegare per ogni paziente, secondo delle linee guida dettate dalla comunità scientifica internazionale e che tengono in considerazione, oltre la patologia di per sé, anche il sesso, l’età, il peso corporeo e lo stato generale di salute della persona.
In virtù di questo, se il vostro trattamento NON prevede l’uso di TAXOLO e TRASTUZUMAB, e a chemio conclusa l’impiego del TAMOXIFENE, non starete per affrontare il mio stesso protocollo terapeutico (e che in parte sto ancora seguendo). Potete quindi risparmiarvi il resto del post. In caso contrario, vi invito a proseguire nella lettura con la speranza di potervi dare utili informazioni.
Finite le raccomandazioni… cominciamo!
“Non tutte le chemio vengono per nuocere”
…è il modo di darvi il mio personale messaggio positivo, se in questo momento vi trovate a dover iniziare un percorso di chemioterapia e non sapete né cosa vi aspetta né quali effetti avrà su di voi.
Ciò che posso raccontarvi è ciò che è accaduto a me, senza aggiungere o togliere nulla. Mi permetto solo di dirvi che l’atteggiamento mentale è tutto, sempre e comunque, più che mai in questi momenti. Pertanto… abbattersi non serve a nulla, anzi, NON giova assolutamente al vostro fisico e soprattutto alla vostra mente. I primi passi sono i più difficili, quelli incerti, fatti “al buio”. So che le cose vi sembreranno strane, difficili, anche assurde e incomprensibili. Ognuno troverà il proprio modo di affrontare la cosa ma vi assicuro che il migliore di tutti è pensare al presente e godere al massimo delle cose belle della vita. Il cancro è un “alieno” che oramai è diffuso in tutto il mondo; questo grazie a ciò che l’uomo continua a fare su questo pianeta, in barba a qualsiasi concetto di equilibrio, rispetto per l’ambiente e quindi per noi stessi. Detto ciò… poniti meno “perchè” e stampati più “smile” 🙂
Non solo… è arrivato il momento di tagliare i “rami secchi”: se accanto a te gravitano “persone che si piangono addosso” e che fanno del tuo problema il loro problema, il mio consiglio è di farti da parte (o farle da parte) e di non dare troppo spago a questi soggetti. Spesso tendono a tirarti dentro il baratro e ad assorbirti energie. Ora devi pensare a te, tutte le energie ti serviranno. Viceversa, attrai a te le persone positive e che ti amano. E’ il momento giusto per mettere alla prova il significato della parola “amore”.
Altra cosa, importante: ricorda sempre che c’è chi sta combattendo la stessa battaglia o di peggiori; quindi, non sei l’unico/a e soprattutto non sei solo/a.
Prima di addentrarci in certi argomenti, per sdrammatizzare un po’, ho deciso di inserire tra queste righe, non a caso, un estratto dal film Frankenstein Junior di Mel Brooks.
A questo punto…
Occorre che vi specifichi che nel mio caso il trattamento chemioterapico è stato ritenuto necessario dal GOM perchè, a seguito dell’intervento chirurgico, sono stati adottati i protocolli preventivi per fare in modo che le cellule tumorali, eventualmente ancora presenti nell’organismo o quelle che potrebbero, per qualche ragione, formarsi successivamente, possano avere “vita breve”. In pratica, l’intento è di creare un “ambiente ostile” al proliferare delle cellule cancerogene di quella particolare forma di cancro, evitando così delle recidive. Quindi, se fai la chemio per il cancro al seno, come nel mio caso, non è che di fatto sei “protetto/a” da tutte le neoplasie. Magari fosse così… Mi piace pensare che sei “meno vulnerabile” rispetto a quella che ti ha già colpito; anche se poi, aimè, conosco persone che hanno avuto una recidiva anche dopo essersi sottoposte a trattamento chemioterapico. Questo si chiama karma, sfiga, destino o come vuoi… io lo chiamo semplicemente “vita”.
Prima accetti tutto questo e prima troverai il modo e il tempo per apprezzare “il bello” che questa esperienza ti può portare… Sembra strano ma troverai anche il lato positivo che non si esaurisce col fatto che farai la chemio per prevenire o guarire dal cancro ma che grazie a questa esperienza vedrai che intorno a te “succederanno cose”, conoscerai persone e avrai modo di conoscere meglio te stesso/a, compresi i tuoi limiti e le tue capacità.
La mia chemio
Ho cominciato la mia prima chemio il 2 di febbraio 2018. Il programma prevedeva una chemio alla settimana per un totale di 12 settimane. Posso dirvi che alla vigilia della prima infusione ero molto teso, più che altro per l’incognita del trattamento e degli effetti che avrei potuto manifestare di lì a poco. Non solo, al termine di uno degli incontri pre-chemio col mio medico oncologo ne sono uscito con una busta di farmaci “da usare in caso di emergenza”. L’intento era di poter avere, al bisogno, un farmaco per ogni tipologia di effetto collaterale si fosse presentato nel corso del trattamento. Non è che di fatto questo ti pone mentalmente in una condizione di tranquillità ma, come si dice… “prendi e porti a casa” e così ho fatto.
Cosa avviene in pratica?
Dietro preciso appuntamento, programmato insieme al medico oncologo e confermato dal reparto di oncologia ad ogni vigilia del trattamento, arrivi all’ospedale e attendi che il tuo nome venga annunciato tramite altoparlante. Io scelsi di effettuare i trattamenti tutti i venerdi alle ore 14.00 in modo tale da “non guastare più di tanto” la mia settimana lavorativa e, qualora fosse stato necessario, avere a disposizione il weekend per riprendermi.
Ti accoglie un’infermiera che ti conduce alla stanza dove verrà effettuato il trattamento e ti fa accomodare su una poltrona regolabile nell’inclinazione, altezza, etc… Diciamo che è piuttosto comoda anche se ovviamente quando sei lì pensi che staresti meglio in ginocchio sui ceci ma a casa tua. Comunque, ti siedi cercando di trovare la posizione più confortevole mentre l’infermiera prepara l’apparecchio che regola l’infusione dei farmaci e le varie dosi di medicinali che dovranno essere iniettati secondo una precisa sequenza.
Ognuno di questi prodotti è contenuto in un singolo contenitore da flebo, di grandezze variabili, e viene inoculato nella sequenza prevista: dal primo all’ultimo.
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Non ho voluto farmi applicare né PICC (Peripherally Inserted Central Catheter, catetere centrale inserito perifericamente) nè PORT o (Port-a-cath) –vedi link di approfondimento-. Sono due dispositivi che permettono un più facile accesso venoso. Entrambi vengono applicati al paziente (l’uno o l’altro) prima di iniziare il primo trattamento e di solito vengono rimossi dopo aver ultimato tutti i cicli di chemioterapia. Da questi dispositivi si inserisce l’ago dal quale passeranno i farmaci e attraverso i quali si effettuano i prelievi di sangue per i vari controlli, senza dover praticare nuovi fori nelle vene. Sono una sorta di “portale di accesso facilitato”. Non mi sono voluto far applicare né l’uno né l’altro dispositivo perché ritenevo che potessero solo darmi un gran fastidio. Sono un professionista abituato a muovermi per lavoro e solo a pensare di avere un “aggeggio” inserito in una vena, e di dovermelo portare a giro per mesi, non mi andava giù. Ho delle grosse e robuste vene, avrei comunque potuto farmi applicare uno dei due suddetti dispositivi anche a trattamento iniziato, qualora avessi riscontrato problemi causati dal farmaco chemioterapico: tra i possibili effetti collaterali ha un’azione “sclerotizzante” delle vena che riceve le infusioni. Dopo varie chemio, possono irrigidirsi le pareti venose e manifestarsi degli ematomi. Ho tentato “la sorte” e ho cominciato a farmi bucare con il normale sondino da flebo; come si vede nella foto sopra riportata. In pratica: 12 buchi sul braccio destro per la chemio e altrettanti sul sinistro per i prelievi del sangue.
Tra un flacone da flebo e l’altro la macchina che si occupa di pompare i farmaci emette un segnale acustico non appena il prodotto contenuto nel flacone è esaurito. I beep scandiscono le tue giornate trascorse nella sala delle chemioterapie. Al beep della macchina corrisponde un beep che azioni volontariamente tramite un apposito pulsante che serve per segnalare alle infermiere che occorre sostituire il flacone appena esaurito.
Nel mio caso posso solo dire che a Prato, presso l’Ospedale Santo Stefano, sono stato assistito in modo meraviglioso e puntuale. Le infermiere sono competenti, gentili e premurose. Non ho mai atteso oltre il ragionevole tempo che occorre alle operatrici sanitarie per intervenire su ogni singolo paziente che le chiama per il cambio della flebo o per altri interventi. Tutto è sapientemente eseguito e condotto a termine grazie all’esperienza pluriennale del personale del reparto di oncologia che pur muovendosi in modo rigoroso e professionale non è esente dal dispensare sorrisi e parole di sincero interesse per lo stato di salute di ognuno. Grazie!
Nella “stanza della chemio” puoi essere in compagnia di altri pazienti. Le poltrone a disposizione nel reparto di Prato sono tre per stanza quindi al massimo puoi trovarti con altri due “compagni di avventura”…
C’è la televisione; se vuoi vederla, se ti piace e soprattutto se non viene monopolizzata dalla “tipa” amante delle telenovelas o delle trasmissioni “da diabete” che imperversano i palinsesti televisivi di primo pomeriggio. Dico da diabete perché spesso sono caratterizzate da storie mielosissime, il tutto infarcito da una buona dose di personaggi “creativi”, “alternativi” e di “tendenza”..mah… Un affettuoso saluto a Caterina Balivo! 🙂
Quanto dura la chemio?
Tra tutto, e intendo inserire nel compendio quel minimo di attesa, la preparazione, le infusioni e il tempo necessario per “ricomporsi” per poi uscire dall’ospedale, mi andavano via circa due ore e mezza, due ore e quaranta. Di per sé la chemio dura un paio d’ore ma passano abbastanza velocemente.
Mia moglie mi ha sempre accompagnato, trascorrendo con me tutto il tempo necessario. Questo mi è stato di grande conforto. Col passare delle settimane il nostro è diventato una sorta di appuntamento intriso di piacevoli rituali che rendevano l’evento stesso un momento di reciproco coinvolgimento e d’amore. Un esempio su tutti, potrei riportarne tanti, mia moglie preparava una borsina all’interno della quale ci metteva la bottiglia dell’acqua, una vaschetta con delle mele spezzettate e qualche mandorla sgusciata. Consumavamo insieme questo “pic-nic” durante la seduta e alla fine della chemio mi faceva trovare un regalino; cose semplici ma per me preziose, di grande conforto e anche inaspettate; soprattutto all’inizio dei primi trattamenti. Sono fortunato ad averla incontrata! Oltretutto è lei che mi ha salvato la vita.
Il Trastuzumab
Oltre alla chemio, ogni tre settimane (lo sto facendo tutt’ora) mi viene somministrato il Trastuzumab. Solo per pronunciare il nome mi ci sono volute dei mesi e tutt’oggi mi trovo spesso in difficoltà, tant’è che preferisco chiamarlo “la divinità atzeca” perchè il nome mi ricorda appunto una divinità ancestrale o una sua “maledizione” 🙂
Insomma…
questo farmaco, detto “intelligente”, e sul quale mi sono potuto esprimere in merito a questa definizione in un mio precedente post, viene somministrato tramite iniezione nella coscia, sotto cute. L’infermiera spinge il liquido contenuto nella siringa dosando la pressione in modo tale da inocularlo nell’arco di tempo di circa 5 minuti. In pratica deve iniettarlo molto lentamente. Non fa male; dà solo un po’ di fastidio all’inizio, appena entra il liquido o se viene esercitata un po’ troppa pressione sullo stantuffo della siringa. Quindi, ogni tre settimane, durante la tua chemio, nel corso delle due ore circa che sei lì, arriva l’infermiera e ti fa la puntura di Trastuzumab nella coscia. “Non ci facciamo mancare nulla”.
Nota a margine per il produttore dell’Trastuzumab: “ma non sarebbe possibile rendere disponibile questo farmaco sotto forma di cerotto transdermico?” Come i cerotti alla nicotina o quelli che contengono antidolorifici, per intenderci. Sarebbe un vantaggio sia per gli infermieri, che in quei minuti potrebbero dedicarsi ad altro, sia per i pazienti che devono starsene immobili a farsi iniettare “la maledizione atzeca” per cinque minuti, oltretutto dovendo andare in ospedale, anche dopo la chemio, per fare solo questa iniezione.
In conclusione:
Le 12 settimane sono passate. Al netto di tutto devo dire che ho trascorso i tre mesi di chemio tra alti e bassi ma mai bassi da provocarmi vomito, dolori di stomaco o altro del genere. Vi dico esattamente cosa ho avuto:
Effetti collaterali:
Stanchezza: fin da subito è arrivata la stanchezza che poi si è mantenuta su livelli sopportabili fino alla nona seduta chemioterapica. Dalla decima all’ultima sono stato peggio: stanco, alle volte stanchissimo. Mi ricordo che una domenica sono dovuto andare a letto di pomeriggio perché non avevo fiato per fare nulla. La stanchezza è proseguita anche per tutte le due settimane dopo l’ultima chemio.
I capelli: non li ho persi; si sono solo fermati nella crescita. Me li ero rasati prima di iniziare la prima chemio. Non volevo farmi “prendere alla sprovvista” e soprattutto “non volevo che il gioco” fosse condotto dalla chimica. Ho preferito “far piazza pulita”. Durante i mesi di trattamento si è fermato tutto, fatta eccezione per la crescita della barba che ha continuato ad essere presente sul mio viso, se pur con minor vigore e rapidità. Ho risparmiato un po’ sui rasoi.
Acne: sono tornato adolescente. Verso la metà del trattamento ho cominciato a manifestare acne sul volto, soprattutto sulla fronte e sul torace. Mi sono riempito ma il tutto ha cominciato a regredire poco dopo l’ultima chemio per poi scomparire del tutto dopo un paio di settimane.
Appetito: non è cambiato assolutamente nulla. Mi era stato detto che probabilmente mi sarebbero cambiati i gusti; che alcuni alimenti che ero abituato a consumare mi avrebbero disgustato. Nulla di tutto questo. Mangiavo prima, mangiavo durante, mangiavo…
Unghie: Talvolta possono scurirsi o in alcuni casi possono anche sollevarsi dalla falange. Nel mio caso si sono appena scurite nella parte terminale, verso l’estremità della falange. Un effetto cromatico che è durato parecchie settimane e che è comparso dopo l’ultima chemio… probabilmente l’undicesima e la dodicesima chemio, per me, sono state “un po’ troppo”: alcuni effetti si sono manifestati proprio al termine dei trattamenti. Comunque, anche questa “manifestazione soprannaturale” è un lontano ricordo.
Oggi:
Subito dopo aver terminato l’ultima chemioterapia ho riportato all’ospedale i farmaci, intonsi, di cui sopra. E’ stata una liberazione!
Sto continuando il trattamento ogni tre settimane con Trastuzumab e da circa una quarantina di giorni ho iniziato la terapia ormonale col Tamoxifene. Terapia che mi accompagnerà per tutto un lustro e per la quale, per adesso, non posso esprimermi in termini di sensazioni/effetti se non per un po’ di pesantezza alle gambe che avverto soprattutto da metà giornata in poi. Occorre inserire “nella terapia” anche la camminata, almeno una buona mezz’ora al giorno. Purtroppo non sempre riesco a farla ma ci sto lavorando per migliorare il mio impegno in tal senso. Dopotutto, chemio o non chemio, dovremmo camminare tutti almeno una mezz’ora al giorno.
Controlli:
In tutto questo percorso sei sempre seguito/a dal tuo medico oncologo. Durante la chemio lo incontri ogni tre settimane e poi ogni 6. Continui a fare analisi del sangue a partire da quelli di routine che vengono effettuati il giorno prima della chemioterapia il cui esito stabilisce o meno l’autorizzazione ad effettuare la chemio il giorno successivo. Fai altri controlli come l’ecocolordoppler che permette di monitorare lo stato di salute del cuore. Il Trastuzumab può agire sul muscolo cardiaco ed è bene avere sempre la situazione sotto controllo.
Conosco tante persone sottoposte a chemioterapia. Ognuno ha la propria storia; ognuno ha il proprio fisico e una mente che reagisce in modo esclusivo. Anche tu supererai questo momento, troverai le forze per farlo, volente o nolente. L’importante è, come ti ho scritto all’inizio di questo post, NON abbattersi, stamparsi in volto un bello “smile” e andare avanti. Se poi avrai i tuoi momenti “down”, prendili come tali, sono momenti e passeranno anche quelli.
Ho avuto il piacere e l’onore di visitare il villaggio allestito in occasione della IBCP Dragon Boat Festival 2018che si è tenuta a Firenze nei giorni 6-7-8 luglio. Ho conosciuto tante persone e ho visto migliaia di donne operate di cancro al seno. Donne affiatate, solidali, coinvolte in un progetto sociale e sportivo che le unisce a livello mondiale. Ben 120 squadre in gara provenienti da 18 nazioni per un totale di circa 4000 partecipanti. Tutte donne che hanno vissuto l’esperienza del cancro al seno. La maggior parte di queste sono state sottoposte a chemioterapia e oggi pagaiano, in squadre da 20 persone ciascuna.
Col mio amico Paolo di Roma, accompagnati da mia sorella e dalla mia inseparabile moglie, abbiamo girato in lungo e largo il villaggio, potendo stringere la mano a tante donne. Tra queste abbiamo scovato anche tre uomini che oltre a me e Paolo erano stati operati di cancro al seno.
Questa è la foto che ritrae i “magnifici 5”; quello a bocca aperta sono io 🙂 Da sinistra: Frank dalla Germania, io da Prato, Paolo da Roma, Mark dall’Irlanda e André dal Canada.
Voglio salutare questi compagni di avventura e, a voi che state per intraprendere un importante e lungo percorso, auguro tutto il bene possibile.
Cercate di parlare con la gente per invitare tutti a FARE PREVENZIONE, ANCHE GLI UOMINI PER IL CANCRO AL SENO. Tra questi 5 che vedete in foto io sono il più fortunato, quello al quale il cancro al seno è stato diagnosticato in fase più precoce, grazie a mia moglie. Questo ha voluto dire: intervento chirurgico meno invasivo e trattamenti più mirati.
Il mio messaggio si riassume in questa immagine che accompagna la mia campagna di sensibilizzazione sul cancro al seno maschile:
Ho visto… una superstrada, lunga, lunga, che una volta aveva la segnaletica di colore blu. Un giorno la strega dei Troll arrivò e in un batter d’occhio, per magia, colorò tutti i cartelli di verde. Così, quella storia, ebbe inizio…
La gente del posto mormorava, perché? Di cotale cambiamento, un motivo non c’è. Il blu, in fin dei conti, era un colore gradito e non occorreva cambiarlo con un gesto del dito. Ricordava il cielo, il mare e le stelle e scongiurava da mille gabelle. Era bello, bello davvero ma non siamo in via dei matti al numero zero.
E la strega dei Troll fece l’incantesimo, cominciando dal primo cartello fino al centesimo. Non più blu ma diventaron verdi ed ella esclamò: “Vedrai quanti soldi perdi!” Quella strada lunga, lunga, lunga, presto per molti si trasformerà in una giungla. Non più liberi di percorrerla in su e all’ingiù ma costretti a pagare sempre di più.
Ma perché far questo, se poi percorrendola, nessuno fa presto. Stretta la strada, per nulla larga è la via, paga piccino, altrimenti l’auto ti portano via.
Era bello, bello davvero, fin che è durata pareva vero. Ora che son verdi e nessun reclama, datti pace e caccia la grana.
Dedicato a chi ha pensato di trasformare la storica Autopalio (Firenze – Siena) da superstrada a qualcosa simile ad un’autostrada. Ancora non ci sono notizie certe in merito all’inserimento di pedaggi autostradali per poterla percorrere ma è evidente che le trasformazioni in atto lasciano supporre tali intenzioni.
La bomboniera… un argomento ostico ai più, se tra questi ci mettiamo esseri umani di sesso maschile coinvolti nell’organizzazione del proprio matrimonio.
E’ nella tradizione del matrimonio voler lasciare a parenti, amici e invitati, un ricordo, una piccola testimonianza di partecipazione e condivisione di un momento importante vissuto da una coppia. Ma nella scelta delle proprie bomboniere non è difficile precipitare nel kitch o nel banale.
Cosa fare allora per evitare di farsi tirar dietro qualcosa la cui scelta rischia di ricadere nella categoria “banalità”, “assurdità” o peggio “mostruosità”?
Le possibilità di scelta non mancano ma se si ripiega mestamente su ciò che spesso ci viene proposto dai negozi specializzati, il rischio è appunto di dover capitolare su qualcosa di molto simile a ciò che avete ricevuto ad un matrimonio di un vostro amico o conoscente. Insomma, se siete in cerca di originalità dovete pensare fuori dagli schemi.
Per aiutarvi in questa difficilissima scelta vi suggerisco di riflettere, se vi state per sposare e siete in cerca delle vostre bomboniere, su cosa vorreste trasmettere di voi stessi, cosa vi accomuna in termini di passioni, obiettivi e ricordi. Trovate delle cose che vi rappresentano e provate a renderle “qualcosa di concreto”. Partite dal contenitore. Qualcosa dovrete pur utilizzare per contenere i confetti. Già questo è un primo passo, poi ci aggiungerete tutti gli orpelli e accessori vari ma fermatevi solo un istante al contenitore. La forma e la materia sono importanti per potervi rappresentare.
Desidero aiutarvi in questo faticosissimo viaggio verso la “non rassegnazione”. Sì, perché può capitare che pur cercando di partecipare con tutte le buone intenzioni a questa tediosa scelta, voi (parlo agli uomini), vi troviate ad un certo punto ad arrendervi; stanchi, stremati, distrutti e totalmente saturi di tutte le proposte di bomboniere che avete vagliato nell’arco di settimane. Allora cari colleghi uomini, se volete fare una buona figura, non perdere il sonno, ore di vita e forse una futura moglie, cercate di pensare alla bomboniera come ad un piccolo testimone, un biglietto da visita del vostro amore e non ad un mero oggetto che “tanto va fatto”.
Antonella ed io condividiamo diverse passioni. Tra queste la fantascienza. Alla fine dello scorso anno ho scritto un libro di fanta-umorismo che si intitola GoodMooning! Questa premessa è importante, non solo per tentare di incrementare le mie entrate attraverso la vendita del mio libro ma anche per farvi capire quali sono le basi che ci hanno permesso di realizzare le nostre bomboniere e gran parte delle altre cose necessarie per il matrimonio.
Ma andiamo in ordine: Il contenitore. Volevamo qualcosa che rappresentasse il paese di origine di Antonella, Colle di Val d’Elsa (SI). La zona è famosa per la produzione di oggetti in cristallo. Occhio! La parola cristallo è pericolosissima. Si può andare dal “pezzo di vetro” allo Swarovski e nel mezzo troverete una galassia di possibilità e scelte. Girando un po’ abbiamo trovato dei piccoli contenitori in vetro, carini. Qualcosa di acquistabile nei negozi di bricolage, découpage, hobbies e, non ultimi, anche in quelli di articoli per cerimonie. Non certo degli Swarovski ma sicuramente oggettini gradevoli alla vista e al tatto.
Oltre a rappresentare la terra di Antonella il vetro rappresenta la “trasparenza”, intesa come valore, importante nel rapporto di coppia. Quindi, ok per il vetro, e ok per questi barattolini. Come chiuderli una volta riempiti di confetti? Semplice… guarda caso questi barattolini venivano forniti di apposito tappo in sughero. Altro elemento interessante, caratterizzante, caldo, naturale e in contrasto col vetro. Ci Piace!
Adesso cosa aggiungere? Ecco che arriviamo alla fantascienza. La nostra idea era di poter regalare qualcosa che fosse gradito e possibilmente apprezzabile anche a distanza di tempo. Nel mio lavoro di grafico spesso ricorro all’utilizzo di prodotti promozionali, di solito pensati per il B2B; quegli oggetti che vanno dal porta chiavi alla t-shirt, dalla borsa alla cover per gli smartphone. Questi oggetti sono studiati per essere personalizzati con il logo delle aziende o comunque con un’immagine di tipo pubblicitario/commerciale.
Tra i miei fornitori con cui lavoro da anni, ne ho uno in particolare, un mio caro amico che ha una ditta che fornisce questo genere di prodotti offrendo ai propri clienti la possibilità di personalizzarli in tirature limitate.
Pochi mesi prima del mio matrimonio, avevo realizzato con laBusinessOpen di Lucca, questo è il nome della ditta del mio amico Daniele, un lavoro per un mio cliente. Chiavette USB dalla forma particolare su cui avevamo stampato una grafica sui due lati. Forma circolare, poco più grande di una moneta da 2 Euro, totalmente personalizzabile su entrambi i lati con stampa a colori. In quel caso erano state prodotte per una convention aziendale.
L’oggetto in particolare mi era piaciuto subito. Molto hi-tech e sicuramente in linea con i nostri gusti “fantascientifici”… E adesso, via alla personalizzazione.
Ho adattato la grafica che illustra le pagine del mio libro il cui personaggio principale, John Doe, è un astronauta. Ho realizzato per l’occasione la versione femminile (Jessica Hill) e ho creato due sposini nello spazio in luna di miele. Eccovi la grafica del fronte e del retro che ho riprodotto sulla chiavetta USB.
Fronte e retro della chiavetta USB – Personalizzazione grafica
Ma perchè proprio una chiavetta USB?
Perchè all’interno abbiamo deciso di inserirvi una foto con tutti gli invitati, scattata subito dopo la cerimonia del matrimonio. Durante il pranzo, il nostro meraviglioso, bravissimo e super collaborativo fotografo Luigi Rinaldelli di Firenze e la sua collega collaboratrice Micaela Rostan, si sono messi pazientemente a masterizzare tutte le chiavette USB con la foto che avevamo scattato pochi minuti prima davanti al municipio di Colle di Val d’Elsa. Noi, gli invitati e la nostra compagna di viaggio per quel meraviglioso giorno, la spaziale ed ecologica Renault Twizy.
Questa è la foto che abbiamo consegnato a tutti gli invitati tramite la chiavetta USB.
Foto di gruppo del nostro matrimonio – 15 giugno 2013
Ecco quindi che la bomboniera prende forma. Abbiamo la bottiglietta di vetro, ci abbiamo legato con un cordoncino di colore bianco e nero la chiavetta USB personalizzata e, all’interno del contenitore, abbiamo inserito dei confetti dalla forma irregolare, tipo sassi di fiume, di colore bianco e altri di colore nero.
Non finisce qui… Sempre tramite la BusinessOpen di Lucca ho fatto realizzare dei piccoli adesivi sagomati in grado di aderire perfettamente alla superficie della bottiglietta e di rientrare all’interno della sagoma del suo profilo. Sull’adesivo ho riprodotto il mio John Doe e Jessica Hill con i nostri nomi. In questo modo, una volta separata la chiavetta USB dalla bottiglietta, su quest’ultima sarebbe rimasta una personalizzazione in grado di ricordare, anche a distanza di tempo, chi ha regalato la bomboniera.
Grafica stampata su adesivo in PVC applicato su un lato della bottiglietta di vetro
La bomboniera è finita. Materia, simbolismi, passioni, ricordi e la consapevolezza che almeno la chiavetta USB resterà un oggetto carino, utile e duraturo nel tempo che sarà riutilizzata per tutti gli usi e scopi per cui è nata. La grafica della personalizzazione sopra riprodotta, ricorderà sempre questo momento speciale. Questo è il risultato finale:
Spero di esservi stato utile. Nessuno ci ha tirato dietro le nostre bomboniere, anzi, gli ospiti ci hanno ringraziato e dimostrato di aver gradito l’idea in generale e soprattutto della foto di gruppo nella chiavetta USB. Presumiamo quindi che il nostro obiettivo sia stato raggiunto.
Se volete ulteriori info su questo progetto creativo e su come realizzare qualcosa di simile, ma VOSTRO, contattatemi!
Nella lista delle cose da procurare per un matrimonio ci sono indubbiamente le fedi nuziali. Quali scegliere? E’ facile perdere la testa tra le infinite proposte offerte dal mercato.
La fede classica non rientrava nei nostri obiettivi e facendo appello ai miei oramai remoti studi in oreficeria ho deciso di progettarle personalmente. Realizzare il disegno non mi creava particolari problemi ma chi avrebbe poi sviluppato materialmente le fedi? Diciamo che sono stato particolarmente avvantaggiato poiché ho dei carissimi amici che hanno frequentato come me l’Istituto d’Arte di Firenze.
Lorenzo, Mario e Alberto hanno un laboratorio orafo a Firenze che prende il nome di EXTRO “Diversamente preziosi”. Hanno un’esperienza pluriennale nel settore e riescono a coniugare magistralmente l’arte orafa con le moderne tecnologie cad-cam. Frequentare la EXTRO è senza dubbio un’esperienza unica. Il laboratorio è situato all’interno della Casa dell’Orafo vicino al Ponte Vecchio. Un ambiente all’interno del quale si vive l’atmosfera della vecchia bottega dei maestri orafi. E’ grazie al loro impegno e professionalità che Antonella ed io abbiamo potuto concretizzare qualcosa di molto personale per le nostre nozze.
Partiamo dalla genesi dell’idea. Eravamo d’accordo entrambi che dovevamo personalizzare le nostre fedi e che non dovevano essere due anelli uguali. Ma come sviluppare l’idea? In pratica, la lettera “A” di Antonella è finita sul mio anello e la “S” di Stefano su quello di Antonella.
Carta, penna e via, comincio a schizzare qualche idea in modo da poterne discutere con Antonella. Il risultato non è stato immediato. Ho realizzato diverse prove. Il disegno del mio anello è stato quello più complicato poiché la lettera “A” maiuscola ha diversi elementi da stilizzare. Alla fine questo è il risultato che ho prodotto per il mio anello:
Schizzo per anello nuziale di Stefano
e questo per Antonella. Lei desiderava una fede piuttosto piccola, portabile e comoda. Inoltre, la lettera “S” è indubbiamente più semplice da gestire per realizzare un anello. La sua sinuosità avvolge in modo naturale la circonferenza del dito.
Schizzo per fede nuziale Antonella
Da questi scarabocchi sono passato a rimettere “a pulito” il lavoro su CorelDraw. In questo modo ho potuto definire meglio le proporzioni e rendere il tutto molto più comprensibile.
Fedi di Stefano e Antonella realizzate su CorelDraw X6
A questo punto Antonella ed io eravamo soddisfatti. Ora potevamo consultarci con i nostri amici della Extro di Firenze per avere suggerimenti tecnici e mettere in produzione le fedi.
La fase successiva è stata quella di realizzare due modelli 3D tramite il software Rhinoceros. A questo ci ha pensato Mario che è l’esperto della Extro nell’utilizzare questo programma.
Il risultato ottenuto è quello che vedete qui sotto:
Le nostri fedi. Modellazioni 3D realizzate col software Rhinoceros da Mario Acuti – Extro snc Firenze
Ed in fine, dopo numerosi passaggi siamo arrivati a questo risultato. Sabato 15 giugno, Antonella ed io potremmo scambiarci le nostre fedi nuziali:
Fedi nuziali di Antonella e Stefano – 15 giugno 2013