Che fatica la vita dell’Hobbit

Premetto, non sono un fan della saga de “Il Signore degli Anelli” e in generale non lo sono neppure del genere fantasy. Lo so, qualcuno potrà storcere il naso ma che ci posso fare, “mi disegnano così”.

Locandina de Lo Hobbit
Locandina de Lo Hobbit

Nonostante ciò, sono andato a vedere Lo Hobbit – La desolazione di Smaug.

Sento già qualcuno che dice: “Se non si conoscono i personaggi, la storia e non sei un appassionato del genere, non puoi apprezzare l’incredibile lavoro di Peter Jackson e il tomone di John Ronald Reuel Tolkien“.

E invece vi sbagliate. O meglio… il lavoro di Peter Jackson riconosco che sia incredibile sotto diversi aspetti. Oserei dire quasi maniacale per l’incredibile presenza di dettagli e scelte tecnico-estetiche, riversate addosso allo spettatore come uno tsunami. Direi anche che se non fosse stato per il lavoro di Peter Jackson, questo Hobbit, a mio modestissimo parere di non esperto di fantasy, sarebbe stata una notevole perdita di tempo. Potrei anche usare un’espressione fantozziana per dare la mia opinione in merito ma mi trattengo.

E qui so che metà di coloro che seguono questo blog se ne saranno andati per sempre.

Non ce la facevo ma dovevo dirlo.

Allora perchè ci sono andato? Perchè il film mi interessava da un punto di vista tecnico e comunque, anche in merito a questo aspetto, l’ho presa in tasca.

Volevo immergermi nell’effetto HFR (High Frame Rate) di cui si è parlato tanto nei mesi prima dell’uscita di questa pellicola. Avevo letto alcuni articoli che parlavano di questa scelta estetica del regista e piuttosto innovativa per il cinema. In sostanza, Jackson, avrebbe girato alcune scene del film utilizzando delle telecamere che non si limitano a fotografare 24 immagini al secondo, come avviene di solito nei normali film, ma addirittura ben 60 fotografie al secondo. Almeno questo era quello che avevo letto tempo fa. Poi, altri articoli che ho trovato in rete confermavano la tecnologia ma non il dato dei 60fps  bensì 48fps; praticamente il doppio rispetto alla tradizionale ripresa cinematografica ma sicuramente meno rispetto ai 60fps di cui si era sentito parlare in un primo momento.

Non so quanto il pubblico riuscirà ad apprezzare una variazione da 24 a 48 fps. La resa, in termini visivi, cambia ma non un gran che per un occhio non particolarmente allenato a certi virtuosismi tecnici. In sostanza, raddoppiare le immagini all’interno di un secondo porta a riempire gli “spazi mancanti” aggiungendo ulteriore informazione a quella frazione di tempo che è il secondo. Da non confondersi con la definizione che riguarda la capacità di catturare informazioni all’interno di un singolo fotogramma.

Per spiegarlo in termini più terra, terra, gli fps (fotogrammi per secondo) sono i singoli scatti fotografici che vengono generati da una telecamera nell’arco di un secondo. La risoluzione o definizione, di solito espressa in pixel, è invece la capacità di catturare i dettagli all’interno del singolo scatto. E’ ovvio che se sommate insieme i due fattori, fps e un numero elevato di pixel, il risultato è sicuramente apprezzabile sia in termini di fluidità delle scene sia in termini di dettaglio delle stesse.

Tornando al nostro Hobbit, questo bel discorso vale poco all’interno di una normale sala cinematografica. L’HFR è apprezzabile solo nella versione de Lo Hobbit in versione IMAX in 3D. Praticamente lo si può vedere in Italia solo in una sala.

Detto ciò, visto che oramai ero al cinema, grazie anche, e soprattutto, ad una mega promozione del circuito multisala presso il quale ho visto il film, ho cercato di godermelo “fotogramma dopo fotogramma”.

Boia che fatica!

Salti, balzi, rincorse, botte, frecce, spade, orchi, maghi, elfi, gnomi, draghi, ragni, un certo Sauron (cattivisimo) e, ovviamente, uno Hobbit col suo “tessorro”. Tutto condensato in 161 minuti di film che, oltretutto, non riescono neppure a chiudere la storia lasciando lo spettatore attonito, con un punto interrogativo stampato in fronte. Un bel video game giocato sul grande schermo.

Poi sono stato distratto… lo ammetto… la mole di informazioni ricevute, ripeto, per un “non appassionato come me del fantasy”, mi portava inevitabilmente a reinterpretare mentalmente il film, scena dopo scena, in chiave di parodia. In sostanza, ai miei occhi un filmone d’avventura fantasy si è trasformato in una sorta di b-movie.

E con questa affermazione ho perso anche l’altra metà di pubblico che seguiva il mio blog.

Comunque, per quei due o tre che sono rimasti a leggere questo post, devo dire che dopo aver visto ragni giganti, longevissimi elfi new age che paiono pronti per esibirsi in concerto, dei nani che non trovano pace e che macinano chilometri con la facilità di un gigante e orchi che non sanno dove andare a far danno, tornandosene poi a casa con le pive nel sacco dopo aver preso un sacco di botte, non mi rimaneva che consolarmi con il mago Gandalf che, alla fine, è il pezzo meglio di tutto il film. Dice di andare in un luogo e magicamente, ed è il caso di dirlo, va ovunque ma non dove aveva detto di andare, fa qualsiasi cosa ma non quelle che aveva detto di fare, per poi finire….

…occhio allo spoilerone

…rinchiuso da Sauron all’interno di un angusto gabbione appeso nel vuoto a “godersi” il preludio all’ennesima missione suicida da parte degli orchi che, più incazzati del solito, marciano verso quei nani, quegli elfi, quegli abitanti del lago. Già, dimenticavo loro… gli abitanti del lago, sì, dai, quello nei pressi di Smaug. O no? Boh… poco importa, il lago c’era e pure gli abitanti abbrutiti.

Per i miei gusti, vedere un film ispirato alla saga de Il Signore degli Anelli, o leggere il tomo di Tolkien, è più un lavoro che una mera passione.

Nota positiva: ho apprezzato moltissimo il doppiaggio del drago (Luca Ward) e quello di Gandalf (Gigi Proietti). Grandi attori, fantastiche voci.

Crediti e approfondimenti:

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