Lo hai fatto il vippino?

Hai fatto il vippino?

Non si parla d’altro. Mi capita anche quando parlo con clienti o fornitori.

“Lo hai fatto?” Cerco di evitare il discorso, schivo qualche colpo, divago o resto vago, provo a rimanere centrato sull’argomento principe del nostro incontro ma, no… Si torna lì. Se rispondi che non l’hai fatto, per chi hai davanti rappresenti il nulla e al contempo la “minaccia globale”. Potresti essere un impavido vigile del fuoco che sta salvando una creatura inerme, svenuta e circondata dalle fiamme e te che la porti in braccio uscendo vittorioso da una densa coltre di fuliggine nera (immaginati la scena a rallentatore) ma, se hai pronunciato il fatidico “no”, di te non passa che l’immagine de “La minaccia fantasma”. Lo sguardo del tuo interlocutore assume una gamma espressiva molto ampia che parte dalla supponenza, passando ad uno stato di grazia – perché si sente un eletto che ha ricevuto la dose miracolosa – a quello di sfida, fino a quello del disgusto a cui solitamente segue un’affermazione del tipo “IO l’ho fatto per altruismo” oppure “perché questo è l’unico modo per uscirne”, il che, per differenza, incornicia automaticamente il tuo “no” nella sfera del “sei un egoista e un incosciente”.

Al di là delle reciproche convinzioni personali, ritengo che questo atteggiamento potrebbe essere di per sé motivo di allontanamento dal contesto in cui avviene il “simpatico siparietto”. Purtroppo non sempre è possibile farlo e pertanto la mia reazione si modula in virtù del mio interlocutore e del livello di confidenza che ho con questa persona. Resta il fatto che sarebbe eventualmente gradito evitare l’argomento, se non altro per mero buon gusto. Fermo restando che chi sceglie di farsi somministrare il siero ha tutto il mio rispetto; gradirei che anche dall’altra parte si palesasse tale riconoscimento. Ovviamente in questo post parlo dei “fondamentalisti della vacciniade”, non sto generalizzando. So già che fin qui ho accumulato un buon punteggio come NoVax, complottista, negazionista e “ista” qualcosa.

Parlo quindi di quei fondamentalisti che si sentono dei VIP, da qui il neologismo “Vippino”. Sono quelli che si collocano di diritto nella sfera degli eletti, quelle persone devote a “SantaPharma da OMS” che, con ossequiosa riverenza, si prostrano davanti ad ogni divina pratica di inoculazione, mutuata da assiomi e mantra ripetuti all’infinito e che rasentano il fanatismo. La lunga schiera di sedicenti esperti da palcoscenico contribuisce ad alimentare la eco sul tema, conferendo al siero miracoloso ogni sorta di funzione e di potere taumaturgico. I media mainstream rilanciano teorie fantascientifiche o producono affermazioni che nessuno ha mai pronunciato ma che vengono attribuite ad un politico o ad un esperto blasonato per poi venire fagocitate da questi, per imbarazzo o per convenienza oppure perché deve essere detto così, riappropriandosene a pieno titolo.

Evidentemente ogni inoculazione ha il potere, in primis, di cancellare la memoria. I fedeli non rammentano più le varie fasi che hanno accompagnato, dagli esordi fino ad oggi, questa campagna vaccinale che definirei una “scampagnata vaccinale”, intesa come spensierata pratica tesa ad allontanare ogni ragionevole dubbio o, sarebbe stato più interessante e gradito, ogni dibattito con contraddittorio sul tema in questione. Tutto si risolve con quattro dogmi e un paio di anatemi dal sapore lontanamente scientifico per poi ritrovarci ad assistere ai cosiddetti “spot istituzionali” che in realtà sono roba da avanspettacolo di basso livello in cui altri VIP praticano l’esercizio del proselitismo, o dell’imbonitore, fate vobis o fate Bonolis, annaffiando tutto con un frizzante slogan “RIPRENDIAMOCI IL GUSTO DEL FUTURO” pronunciato da Amadeus. Si chiude così il teatrino dei suddetti VIP che si alternano in questo gioiello della comunicazione attraverso cui ci viene offerta ogni sorta di motivazione logica e sensata per cui sarebbe il caso di farlo (ironizzo).

Un “RIPRENDIAMOCI IL GUSTO DEL FUTURO” sulla falsa riga di “Enjoy Coca Cola” o del vecchio slogan della Kodak “E’ bello sapere che c’è” o della Kraft “Cose buone dal mondo” (come si vede che ho una certa, eh?!) che pone il messaggio alla stregua di un prodotto commerciale di largo consumo da acquistare alla grande distribuzione, si intende portare un messaggio agli italiani attraverso i VIP del mondo dello spettacolo; forse pensando di recuperare il danno che quelli della scienza da show business hanno generato da un anno e mezzo a questa parte. Come se non bastasse, a corollario di questa pletora di immagini e di suoni mal combinati, arriva la “simpatica coreografia” che farebbe imbarazzare qualsiasi ballerino RAI degli anni ’80 che allietava i sabato sera, a partire da un lontano “Canzonissima” fino ad un indimenticabile “Fantastico” (e qui ribadisco che ho una certa..)

Torniamo alla perdita di memoria; siamo passati da un “Sono sicuri, sono testati, nessuno muore con i vippini”, a leggere di qualche decesso di persone neo vaccinate e giustificarlo con “Rapporto rischio beneficio a favore del beneficio” per sconfinare con “Ritiriamo AstraZeneca” poi lo ridiamolo ma solo a chi è alto biondo e bello, possibilmente sano. Senza dimenticare del “nessuna correlazione”, assimilabile ad un “ricorda fratello che devi morire”, legata ad ogni decesso (e ce ne sono tanti) o a menomazione di vario grado e durata, fino all’invalidità permanente, per raggiungere l’apoteosi a sostegno della tesi per cui, dato il fallimento annunciato dei cosiddetti vaccini – ma mai dichiarato o dichiarabile -, per battere le varianti occorre praticare “l’eterologa” che, detto così, pare una cosa seria ma in realtà è il termine fantascientifico con cui si vuol far passare l’idea che dei farmaci, di per sé poco testati e i cui effetti di ciascuno sono tutt’ora allo studio (attraverso chi si sta vaccinando), possano essere mescolati come un cocktail preparato da un barman di uno dei peggiori bar di Caracas, utilizzando prodotti di brand diversi. E’ come se prendessi il cofano della Panda e volessi metterlo sulla Stelvio e ti dicessi a tutti che così è meglio. Mah…

Davanti a cotanta potenza di fuoco non mi resta che concludere ribadendo il mio rispetto verso tutti, in questo caso in particolar modo verso coloro che si vaccinano; liberi di fare ciò che volete ma tra i tanti mantra che si sentono h24 e ovunque, aggiungo il mio che prendo in prestito dal grande Gigi Proietti: “nun me rompe er cà”.

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Che fatica la vita dell’Hobbit

Premetto, non sono un fan della saga de “Il Signore degli Anelli” e in generale non lo sono neppure del genere fantasy. Lo so, qualcuno potrà storcere il naso ma che ci posso fare, “mi disegnano così”.

Locandina de Lo Hobbit
Locandina de Lo Hobbit

Nonostante ciò, sono andato a vedere Lo Hobbit – La desolazione di Smaug.

Sento già qualcuno che dice: “Se non si conoscono i personaggi, la storia e non sei un appassionato del genere, non puoi apprezzare l’incredibile lavoro di Peter Jackson e il tomone di John Ronald Reuel Tolkien“.

E invece vi sbagliate. O meglio… il lavoro di Peter Jackson riconosco che sia incredibile sotto diversi aspetti. Oserei dire quasi maniacale per l’incredibile presenza di dettagli e scelte tecnico-estetiche, riversate addosso allo spettatore come uno tsunami. Direi anche che se non fosse stato per il lavoro di Peter Jackson, questo Hobbit, a mio modestissimo parere di non esperto di fantasy, sarebbe stata una notevole perdita di tempo. Potrei anche usare un’espressione fantozziana per dare la mia opinione in merito ma mi trattengo.

E qui so che metà di coloro che seguono questo blog se ne saranno andati per sempre.

Non ce la facevo ma dovevo dirlo.

Allora perchè ci sono andato? Perchè il film mi interessava da un punto di vista tecnico e comunque, anche in merito a questo aspetto, l’ho presa in tasca.

Volevo immergermi nell’effetto HFR (High Frame Rate) di cui si è parlato tanto nei mesi prima dell’uscita di questa pellicola. Avevo letto alcuni articoli che parlavano di questa scelta estetica del regista e piuttosto innovativa per il cinema. In sostanza, Jackson, avrebbe girato alcune scene del film utilizzando delle telecamere che non si limitano a fotografare 24 immagini al secondo, come avviene di solito nei normali film, ma addirittura ben 60 fotografie al secondo. Almeno questo era quello che avevo letto tempo fa. Poi, altri articoli che ho trovato in rete confermavano la tecnologia ma non il dato dei 60fps  bensì 48fps; praticamente il doppio rispetto alla tradizionale ripresa cinematografica ma sicuramente meno rispetto ai 60fps di cui si era sentito parlare in un primo momento.

Non so quanto il pubblico riuscirà ad apprezzare una variazione da 24 a 48 fps. La resa, in termini visivi, cambia ma non un gran che per un occhio non particolarmente allenato a certi virtuosismi tecnici. In sostanza, raddoppiare le immagini all’interno di un secondo porta a riempire gli “spazi mancanti” aggiungendo ulteriore informazione a quella frazione di tempo che è il secondo. Da non confondersi con la definizione che riguarda la capacità di catturare informazioni all’interno di un singolo fotogramma.

Per spiegarlo in termini più terra, terra, gli fps (fotogrammi per secondo) sono i singoli scatti fotografici che vengono generati da una telecamera nell’arco di un secondo. La risoluzione o definizione, di solito espressa in pixel, è invece la capacità di catturare i dettagli all’interno del singolo scatto. E’ ovvio che se sommate insieme i due fattori, fps e un numero elevato di pixel, il risultato è sicuramente apprezzabile sia in termini di fluidità delle scene sia in termini di dettaglio delle stesse.

Tornando al nostro Hobbit, questo bel discorso vale poco all’interno di una normale sala cinematografica. L’HFR è apprezzabile solo nella versione de Lo Hobbit in versione IMAX in 3D. Praticamente lo si può vedere in Italia solo in una sala.

Detto ciò, visto che oramai ero al cinema, grazie anche, e soprattutto, ad una mega promozione del circuito multisala presso il quale ho visto il film, ho cercato di godermelo “fotogramma dopo fotogramma”.

Boia che fatica!

Salti, balzi, rincorse, botte, frecce, spade, orchi, maghi, elfi, gnomi, draghi, ragni, un certo Sauron (cattivisimo) e, ovviamente, uno Hobbit col suo “tessorro”. Tutto condensato in 161 minuti di film che, oltretutto, non riescono neppure a chiudere la storia lasciando lo spettatore attonito, con un punto interrogativo stampato in fronte. Un bel video game giocato sul grande schermo.

Poi sono stato distratto… lo ammetto… la mole di informazioni ricevute, ripeto, per un “non appassionato come me del fantasy”, mi portava inevitabilmente a reinterpretare mentalmente il film, scena dopo scena, in chiave di parodia. In sostanza, ai miei occhi un filmone d’avventura fantasy si è trasformato in una sorta di b-movie.

E con questa affermazione ho perso anche l’altra metà di pubblico che seguiva il mio blog.

Comunque, per quei due o tre che sono rimasti a leggere questo post, devo dire che dopo aver visto ragni giganti, longevissimi elfi new age che paiono pronti per esibirsi in concerto, dei nani che non trovano pace e che macinano chilometri con la facilità di un gigante e orchi che non sanno dove andare a far danno, tornandosene poi a casa con le pive nel sacco dopo aver preso un sacco di botte, non mi rimaneva che consolarmi con il mago Gandalf che, alla fine, è il pezzo meglio di tutto il film. Dice di andare in un luogo e magicamente, ed è il caso di dirlo, va ovunque ma non dove aveva detto di andare, fa qualsiasi cosa ma non quelle che aveva detto di fare, per poi finire….

…occhio allo spoilerone

…rinchiuso da Sauron all’interno di un angusto gabbione appeso nel vuoto a “godersi” il preludio all’ennesima missione suicida da parte degli orchi che, più incazzati del solito, marciano verso quei nani, quegli elfi, quegli abitanti del lago. Già, dimenticavo loro… gli abitanti del lago, sì, dai, quello nei pressi di Smaug. O no? Boh… poco importa, il lago c’era e pure gli abitanti abbrutiti.

Per i miei gusti, vedere un film ispirato alla saga de Il Signore degli Anelli, o leggere il tomo di Tolkien, è più un lavoro che una mera passione.

Nota positiva: ho apprezzato moltissimo il doppiaggio del drago (Luca Ward) e quello di Gandalf (Gigi Proietti). Grandi attori, fantastiche voci.

Crediti e approfondimenti: