Maggie diventa Contagious e forse anche “Celiacus”

Chi si aspetta di vedere Arnold Schwarzenegger nei panni del  “solito Schwarzy” ci resterà piuttosto male…

Contagious_PosterPassano gli anni per tutti, anche per i bodybuilder, per gli eroi, per gli uomini d’acciaio e anche per Arnold Schwarzenegger che come tutti avverte i segni del tempo. Intelligentemente, con Contagious, prova a rimettersi in gioco attraverso un ruolo di attore più consono alla sua attuale fisicità.

Ci prova, attraverso un processo di “deeroinizzazione”, ovvero tramite un percorso che lo porta ad essere “uno qualunque”, un padre che non necessariamente deve essere un eroe per forza (alla Turboman per intenderci) ma lo è nella misura in cui il ruolo del genitore lo porta ad essere per definizione “un eroe” nello svolgere il compito di proteggere il proprio figlio; in questo caso la figlia Maggie.

Arnold Schwarzenegger nel ruolo di Turboman da "Una promessa è una promessa"
Arnold Schwarzenegger nel ruolo di Turboman da “Una promessa è una promessa”

Si cala in un ruolo distante anni luce da quelli a cui siamo abituati a vederlo. In Contagious si priva di ogni corazza o massa muscolare e si veste di amore per la figlia e di speranza per una qualche regressione del necrovirus che ha infettato la sua Maggie.

Nonostante tutto, soprattutto nonostante gli sforzi di Arnold nel cercare di rendere credibile il suo personaggio, né “lui” né il film decollano mai.

La sceneggiatura, curata da John Scott, è portatrice sana (visto che si parla di virus) di numerose falle e la regia di Henry Hobson non riesce a supportare gli sforzi dell’attore, anzi, spesso lo rendono goffo più che provato dal dolore.

Anche la fotografia non convince affatto, basata su schemi ciclicamente ripetuti che vanno dalla quasi totalità delle riprese girate a mano con abuso di “mosso” alle inquadrature del soggetto decentrato su un terzo dello schermo, dai primi piani spinti in cui anche il poro della pelle pare diventare un canyon ai “fuori fuoco” che spesso non capisci se sono voluti o se sono errori di ripresa. Tutto nel vano tentativo di esasperare l’effetto di oppressione, di dramma, di coinvolgimento dello spettatore nella scena ma col risultato che ogni inquadratura stanca divenendo irrequieta, nervosa e difficile da cogliere e da apprezzare.

Lo spettatore non chiede tanto se non di assistere a una storia che abbia un capo e una coda ma ciò a cui assiste è un film “buttato là” che appare come un contenitore che funge solo da pretesto per celebrare un nuovo modo di essere attore per Arnold.

Contagious o Maggie – questo sarebbe il titolo originale del film che ricalca il nome della figlia di Wade Vogel (Arnold Schwarenegger) interpretata da Abigail Breslin – è sempre lì, non va né avanti né indietro innescando nello spettatore un senso di perenne attesa nella speranza di poter assistere, prima o poi, a uno sviluppo o a un colpo di scena che non solo non arriva ma l’attesa finisce per sfiancare portando lo spettatore alla noia e alla stanchezza.

Contagious pare un sequel di se stesso ma con tutte le lacune che si provano a vedere un sequel senza aver visto il prequel.  Tutto è accennato come se ci fosse già stato raccontato in una pellicola precedente guardandosi bene dal dare spiegazioni plausibili e sufficienti per comprendere le origini del dramma.

Si passa da scenari post apocalittici in cui la città, i negozi, gli edifici sono distrutti a situazioni opposte in cui tutto funziona perfettamente, compresi gli smartphone e i servizi pubblici come gli ospedali e le forze di polizia.

Si passa da una città sotto la legge marziale e coprifuoco a un’allegra gita fuori porta tra amici al chiaro di luna, con tanto di tende e zombie tra gli invitati, tra cui Maggie e il fidanzatino Trent (interpretato da Bryce Romero, il cui cognome è tutto un programma), entrambi palesemente infettati ma ancora non zombie da essere pericolosi. Amici sani e malati tutti insieme appassionatamente al campeggio a celebrare vecchi momenti, a parlare di scuola e di futuro ma anche dei compagni e dei professori che non ci sono più perchè oramai deceduti per aver contratto il necrovirus. Ci scappa pure il bacio tra zombie e poi, all’alba, tutti a casa per continuare la propria vita, chi da sano, chi da zombie.

Contagious
Contagious

Si parla di un periodo d’incubazione del virus che mediamente si sviluppa nell’arco di otto settimane, chi più e chi meno, e che l’ultima fase viene di fatto gestita sotto lo stretto controllo del sistema sanitario che obbligatoriamente impone ai “soggetti infetti” lo stato di quarantena coatto in ospedale; fase che poi li accompagnerà alla morte. Durante queste meravigliose otto settimane, tutto è più o meno “normale”, puoi tenerti lo zombettino a casa tua, dargli da mangiare quando ha fame o non darglielo quando non ha fame. L’importante è che tu segua le indicazioni rilasciate dalle autorità sanitarie attraverso l’opuscolo informativo che ti spiega tutto. Se poi lo zombettino ti annusa un po’ troppo di frequente, scambiandoti per una bistecchina alla brace, allora preoccupati, forse il morso ci può scappare ed è arrivato il momento di telefonare alle autorità sanitarie per chiedere di venirselo a prendere…

Non si diventa zombie a caso ma non ci è dato sapere come tutto sia cominciato né come si sia diffuso il necrovirus pandemico. Si fa cenno a qualcosa che viene dal grano, “tanto è vero che ad un certo punto ho pensato che si trattasse di un’evoluzione della celiachia, ribattezzando questo blob in Celiacus” ma poi pare che si propaghi attraverso i morsi di altri contagiati. “Resta però da capire se è colpa di qualche seme di grano modificato OGM della Monsanto o se ha altre origini”. Per non sbagliare, intanto, diamo fuoco ai campi di grano, poi si starà a vedere.

Ecco, nella scena in cui Arnold si decide a dar fuoco al proprio campo di grano (ebbene sì, pare che in questo film faccia il contadino o almeno lo faceva prima dell’epidemia), ho avuto per un attimo un sussulto, una fievole speranza che il film volgesse al meglio. Ho intravisto l’autocelebrazione della famosa scena in Predator in cui Dutch (Arnold Schwarzenegger) attrae Predator per affrontarlo nella battaglia finale dando alle fiamme una torcia e cacciando un urlo primordiale col quale squarcia il silenzio e le tenebre della giungla.

Speranza che di lì a poco si è trasformata in una totale delusione. Il regista non ci dà neppure la “soddisfazione” di vedere la torcia volteggiare sul campo di grano per poi rovinarsi a terra ed incendiarlo. Ci lascia con un “cerino in mano” (è il caso di dirlo) in cui un istante prima si vede Arnold con la fiaccola in mano e l’istante dopo il campo in fiamme; neppure il “gesto atletico”, nessun urlo di disperazione e sfogo per la situazione, nessun Predator -per carità- ma non veniamo neppure ricompensati da una proverbiale e sempre gradita apparizione della “mandria” di zombie incazzati e arrostiti che sfumacchianti avrebbe potuto avanzare incontro ad Arnold arricchendo un po’ il brodo… Nulla, tutto resta immutato, tranne il campo di grano che finisce in fumo e con lui ogni speranza di poter vedere una qualche scena, non dico azione ma almeno, un po’sopra le righe.

Probabilmente questa è l'unica scena in cui la macchina da presa è posizionata su un cavalletto.
Una delle poche, forse l’unica scena in cui la macchina da presa è posizionata su un cavalletto.

Contagious non è un action movie, non è nemmeno un film di zombie alla Romero o alla Walking Dead. Non è nemmeno un film di dell’orrore… insomma, non so cosa può essere. Ci sono gli zombie, pochi, troppo pochi e non sono comunque loro i protagonisti. Non ci sono scene terrificanti o un po’ spaventose o al limite un po’ splatter, nulla di tutto questo.

C”è un padre abbrutito con una figlia zombie e adolescente (non si sa quale sia il male peggiore) che non perde un etto nonostante la “zombite acuta”.

Ci sono campi di grano dati alle fiamme, ovunque e sempre fumanti.

C’è un vecchio furgone pickup, con la cinghia da registrare che cigola, che probabilmente piaceva tanto alla precedente moglie di Wade Vogel, ovviamente morta.

Ci sono due poliziotti, uno buono e uno scemo.

Ci sono dei vicini di casa e degli amici che non si sa bene come siano finiti nella storia.

C’è il fidanzatino di Maggie la cui presenza rende Contagious più simile ad un film stile “american idiots” che ad un film drammatico.

Ci sono dei medici, alcuni con mascherine anti contagio e altri che visitano inalando l’aria espirata dai pazienti infetti come se non potessero essere a loro volta infettati per via aerea.

C’è lui, Arnold… lo si accetta, quasi lo si sopporta ma non gli si riesce a perdonare la totale mancanza di quell’adrenalinico momento di rivalsa che lo ha sempre caratterizzato nei suoi personaggi. E’ lì, poi sparisce per un po’, non si sa dove sia finito, poi riappare, piange, vaga solitario, ha piantato le margherite nel nulla, o meglio, in un luogo che il regista vuol farci passare per “il giardino della moglie morta” ma che si trova in mezzo al bosco. Abbraccia la figlia, sospira, mostra le rughe, tante, forse anche troppe. Talvolta pare che sia lì per sovvertire quel sistema che impone la fase di quarantena a cui, prima o poi, si presume dovrà privarlo definitivamente della figlia ma… non lo fa mai. Sì, fa pure a botte con uno dei poliziotti, quello scemo, ma solo perché costretto, appunto, dal gesto scemo dello scemo.

Arnold è’ sempre lì, sono uscito dal cinema e lui è rimasto lì. Maggie fa quello che deve fare ma lui è lì. Sono convinto che Arnold sia ancora lì, adesso.

Trailer italiano:

In conclusione, Arnold ci ha provato. Forse per qualcuno ci è pure riuscito, per me no. Non bastano delle lacrime e un volto segnato dal dolore (o dai reumatismi) per trasformare un attore d’azione di successo planetario in uno drammatico. L’unica cosa “mostruosa” che ha questo film è la noia che riesce a trasmettere nello spettatore che diventa virale a tal punto che lo spettatore stesso, all’uscita del cinema, viene scambiato per uno zombie.

Trailer originale:

Approfondimenti:

Pubblicità

Tonno subito con Kevin Costner

Mi sono immaginato una sala riunioni all’interno di un’agenzia di comunicazione. Quegli ambienti luminosi, grandi, dove sono riuniti creativi, tecnici, agenti e… lui… il testimonial al quale viene illustrata l’idea per realizzare il nuovo spot per Rio Mare.

Consulente dell’agenzia:  Buongiorno Sig. Costner come sta? (se il testimonial è straniero di solito il Consulente si rivolge dandogli del LEI perché è risaputo che nella lingua inglese dare del LEI ha un certo peso).

Costner: Goodmorodwlewesf Mr. ? (gli americani biascicano un po’ e anche un semplice saluto può risultare, a tratti, incomprensibile)

Consulente dell’agenzia:  Ah.. Sì, bene… (non ha capito una mazza e neppure che la frase leggermente interrogativa pretendeva una presentazione).

Consulente dell’agenzia:  Mr. Costner (rivolgendosi all’attore ma guardando il suo interprete). Lei mangia tonno?

Costner: Tionnnno? (replica l’attore lupo ballante, un po’ titubante sul termine tonno)

Interprete:  Biscibisci, BisciBisciTonno = Tuna (l’interprete del Sig. Kostner gli sussurra alcune parole e la spiegazione della parola Tonno)

Costner: Hooou! Yea! I eat arfasganauei lo Tonnoammare uitabaut the bookisondetable (replica l’attore entusiasta e un po’ affamato).

Consulente dell’agenzia:  Benissimo Sig. Costner! Benissimo!! (sfoderando i suoi denti da pescecane e senza attendere la traduzione dall’interprete dell’attore. Il Consulente è sempre troppo avanti per attendere). Lo dicevo IO che LEI era il nostro uomo, la persona adatta a rappresentare il prodotto dell’azienda per cui realizzeremo questo fantastico spot.

Costner: But… SorryNoBonus… But… I thinkosadovreifare Mindegap!?

Consulente dell’agenzia:  Pensi al mare, la costiera amalfitana, il sole, un bel porto, un faro, belle signore, lei che abita dentro a un faro.

Costner: Fa-ro? (sempre più perplesso)

Interprete:  Biscibisci, BisciBisciFaro=Lighthouse (ecco che arriva la spiegazione di faro)

Costner: Ah! Yea! Laigtausganauei! Beautifull Laitaus, uanderfull! (sorride; è contento lui).

Consulente dell’agenzia:  Ottimo signor Kostner! (gli scappa pure una “K” di troppo). Me-ra-vi-gli-so! Lo sapevo! Possiamo quindi cominciare subito. Lei sarà prelevato dal suo albergo, portato in uno studio televisivo dove abbiamo già costruito il meraviglioso set del famoso faro di Amalfi e lei reciterà un paio di battute mentre prepara il tonno alle sue commensali venute appositamente a darle il benvenuto perchè attratte dal suo fascino mediterraneo.

Momento di silenzio…

Interprete:  Biscibisci, BisciBisciLighthouse Biscibisci, BisciBisciSea, BisciBisciFood e Mediterraneo

Nella mente del Sig. Costner:  Bene, questi mi portano ad Amalfi, mi regalano un faro, mi invitano a pranzo a mangiare il tonno in compagnia di alcune belle signore e mi pagano pure. Mah!

Vedendolo un po’ tra le nuvole, l’interprete del Sig. Costner interviene.

Interprete:  Mr. Costner BiscibisciSpot, BiscibisciAdvertising, BiscibisciJob&Opportunity

Costner: Aaaaaaah! Uork for mi? Yeaaa! I donanderstend! Ok, Ok!

Nella mente del Sig. Costner:  Caspita, stavo facendo una bella figura di shit! Ok, vogliono che interpreti un personaggio in un faro. Forse dovrò tornare a calarmi nella parte di Ben Randall che ho interpretato in “The Guardian – Salvataggio in mare” quando facevo la guardia costiera. Che un successone di film!! Un bel ruolo d’azione e drammatico. Mi piace! Ma se lo chiedo me la daranno una mazza da baseball? Non recito senza almeno una mazza da baseball sul set.

Consulente dell’agenzia:  Ecco Sig. Costner, queste sono le battute che dovrà recitare; “Ciao!… Mangiate con me?” poi quando le signore diranno: “Come mai in Italia”, lei risponderà: “Perchè avete una grande cucina e un grande tonno… Hummmm, Rio Mare, così… Buonissimo”, infine, una delle tre commensali, un po’ imbarazzata e arrossita, dirà, timidamente: “Che tenero” e lei chiuderà magistralmente esclamando: “Si taglia con un grissino… Rio Mare…So Good!”.

Costner arriva in studio, vede il set, il piatto col tonno in scatola e si rende conto che “quel posto” non è Amalfi.

Nella mente del Sig. Costner:  Eppure non mi era sembrato di aver chiesto tanto per questo lavoro. Almeno del tonno fresco potevano pure darmelo. Dopotutto sono Ben Randall, una guardia costiera massiccia!

Dove sarà la mia mazza da baseball? Ma almeno un guantone da baseball ci sarà qui? E’ buio… il grano… ecco arrivano… i giocatori di baseball…

ben_randall

Lo spot:

Ender’s Games – Secondo post: “tecnico”

Eccoci insieme per parlare nuovamente di cinema e soprattutto di effetti visivi e di quello che si nasconde dietro la cinepresa. Questa volta tocca a Ender’s Games di Gavin Hood.

Mi piace approfondire alcuni aspetti legati alla realizzazione dei film, soprattutto dove vengono impiegati gli effetti speciali. Quei film che una volta usciti dalla sala amiamo commentare con gli amici e con i quali viene da chiederci: “ma come hanno fatto a realizzare quella scena?”. Ecco, domandandomi spesso questa cosa e non piacendomi restare con un punto di domanda impresso in volto, cerco delle risposte in rete.

Ender's Games
Ender’s Games

Entriamo quindi nel mondo degli effetti speciali di Ender’s Games. Per tutti i commenti al film, quelli più emozionali e meno tecnici, vi rimando al mio precedente post: Ender’s Games – interessante ma non indimenticabile, da vedere ma anche no. Primo post: “emozionale”.

Innanzitutto va detto che il film è co-prodotto dalla Digital Domain, azienda leader nel settore degli effetti visivi con diverse sedi in California e Canada. DD è impegnata da anni nella produzione di effetti digitali per il cinema, la pubblicità e i games. Una decisione che ha permesso di contenere i costi di realizzazione del film a fronte di un grosso contributo tecnico coordinato dal supervisore degli effetti visivi Matthew Butler.

Sono molte le scene che hanno coinvolto la Digital Domanin tra cui la “palestra di addestramento” a zero G, le scene nella grotta di simulazione di guerra immersiva, il pianeta dei Formic, le battaglie nello spazio e quella sulla Terra tra le nubi, ingaggiata tra i caccia da combattimento terrestri e le navette da guerra dei Formic. Per chi non avesse visto ancora il film i Formic sono gli alieni simili a formiche giganti.

Ender's Games - Backstage su ComingSoon.it
Ender’s Games – Backstage su ComingSoon.it

Le scene nella camera a zero G hanno richiesto da parte degli attori una particolare preparazione atletica coadiuvata da personal coach reclutati direttamente dal cast del Cirque du Soleil . Ma non solo, i giovani attori sono stati addestrati anche presso lo Space Camp della U.S. Space & Rocket Center in Huntsville e assistiti da astronauti veri.

Asa Butterfield e Khylin Rhambo durante le simulazioni spaziali allo Space Camp in preparazione per le riprese di "Ender's Game"
Asa Butterfield e Khylin Rhambo durante le simulazioni spaziali allo Space Camp in preparazione per le riprese di “Ender’s Game”

Le particolari coreografie eseguite dagli attori su cavi, su tappeti e braccia meccaniche sono state riprese con telecamere in grado di girare col formato sorgente RedCode RAW in 5K (5120×2700 pixel) trasferite successivamente in 2K (2048x1080pixel) per la realizzazione del master. Il sistema Red, oltretutto, permette di girare mantenendo le caratteristiche del file digitale simili a quelle del file RAW nella fotografia. Un file “nativo” o “grezzo” elaborabile in post produzione grazie al quale è possibile ottenere una gestione completa sull’esposizione e il bilanciamento del bianco. Un sistema che ha permesso di girare interamente in digitale verificando le scene in tempo reale.

L’impiego della performance capture ha permesso di riprendere i corpi e i volti degli attori e di utilizzarli separatamente. In post produzione sono stati ricostruiti i modelli 3D degli attori che sono stati integrati nelle scene e animati “ricalcando” i movimenti reali compiuti sul set. Sui corpi digitali sono stati inseriti i volti degli attori e le scene sono state completata inserendovi le scenografie virtuali e/o parti di scenografia reali. In sostanza, nelle sequenze in cui si vedono gli addestramenti a zero G le uniche parti reali della scena sono i volti degli attori e l’elemento scenografico che caratterizza il portale di accesso dalla zona con la gravità a quella a zero G. Spesso anche i cristalli dei caschi che proteggono i volti degli attori sono stati ricostruiti grazie alla computer grafica. Questo ha permesso di tenere sotto il controllo dinamico computerizzato riflessi e luci sulla superficie trasparente sincronizzando il movimento dell’illuminazione reale a LED con quella delle luci virtuali generate in post produzione.

La sala della guerra, realizzata nella grotta dei Formic, è praticamente un ambiente per lo più realizzato in computer grafica. Le interazioni tra personaggi, l’ambiente e le scene olografiche della battaglia hanno richiesto molte ore di lavoro da parte dei tecnici della Digital Domain. Oltre 27 miliardi di poligoni compongono i solidi presenti nella scena dalla battaglia nella quale sono presenti circa 300,000 navi, tra droni e astronavi, tutti da renderizzare per diversi minuti di battaglia.

Un film di grande impatto visivo anche se a tratti risulta non essere proprio originale riportando alla mente un’iconografia che pesca direttamente da film di genere fantascientifico che lo hanno preceduto.

Crediti e Link di approfondimento::

Location del film:

Software 3D e motori rendering:

Effetti Speciali:

C’era una volta Noè della Genesi e c’è adesso Noah di Hollywood

C’era una volta Dio che si arrabbiò con gli uomini perché dediti all’odio, alle guerre, al potere e a tante altre attività “ludico ricreative”.

NOAH - il film
NOAH – il film

Ma Dio, essendo Dio,  prima di manifestare la sua ira contro l’umanità chiamò Noè, un agricoltore che fino a quel momento pensava a zappare la sua terra e ad accudire qualche animale. Dio gli chiese.. hem… lo persuase a costruire l’arca per salvare dall’imminente diluvio universale, 7 coppie tra gli animali puri ed una coppia di tutti gli altri animali. Un nulla, insomma. Sì, però gli disse anche che avrebbe potuto portare con sé la sua famiglia. E vai!

Così venne il diluvio universale, poi finì il diluvio e Noè visse 950 anni circondato da pronipoti e tutte le generazioni future degli animali che aveva salvato. Mi sa proprio che portò con sé pure le zanzare…

Comunque, a grandi linee è quello che più o meno sappiamo di Noè, almeno tra noi non teologi e non eccessivi praticanti cristiani.  Poi, arrivò Hollywood che trasformò Noè in un figone di nome Noah (uno dei vari modi di scrivere questo nome tra le religioni abramitiche) interpretato da Russell Crowe e il racconto di Noè di cui sopra si trasformò in questo.

Sarei curioso di vedere la trasposizione cinematografica in chiave hollywoodiana della vita e soprattutto della visione del carro di fuoco avuta del profeta Ezechiele. Sono convinto che i Transformers a confronto dovremmo paragonarli a Piccole Donne.

Non male come strategia commerciale, soprattutto in tempi di crisi. Realizzare film sui supereroi dei fumetti comporta esborsi notevoli in royalties. Con le storie bibliche e tutto ciò che hanno in serbo puoi realizzare filmoni pieni di effetti speciali ad oltranza e, soprattutto non hai da pagare i diritti d’autore. O sbaglio? C’è ancora in vita qualche erede di Noè?

Crediti: