Il 30 marzo 2019, a Prato, l’associazione Annastaccatolisa Onlus insieme al Comune, rappresentato dal primo cittadino Matteo Biffoni, hanno inaugurato la “panchina rosa”.
Installata presso la pista ciclabile Gino Bartali, in viale Galilei angolo via Negri, è un simbolo importante e al contempo un arredo urbano pensato con l’intento di creare attenzione e cultura verso la prevenzione del cancro al seno.
Roberta Romani – presidente associazione Annastaccatolisa col sindaco di Prato Matteo Biffoni
Inaugurazione panchina rosa a Prato
Inaugurazione panchina rosa a Prato col sindaco Matteo Biffoni
Inaugurazione panchina rosa a Prato col sindaco Matteo Biffoni
Inaugurazione panchina rosa a Prato
Inaugurazione panchina rosa a Prato
Appresa la notizia scrissi al direttivo dell’associazione per proporre loro di intervenire sulla panchina appena installata, e su quelle che in futuro sarebbero state inaugurate dai vari comuni, colorando di azzurro una doga per rappresentare quella piccola ma significativa percentuale di uomini che ogni anno contrae un carcinoma mammario; 500 uomini che si ammalano di cancro al seno, nella totale incredulità, nel silenzio e nel disagio fisico e psicologico. Spesso questi uomini giungono ad una diagnosi in fase avanzata del cancro proprio perché il fenomeno viene ignorato o sottostimato sia da parte degli stessi pazienti, per lo più inconsapevoli che questo fenomeno possa manifestarsi anche nel loro corpo, sia da parte degli stessi medici, che spesso minimizzano il problema rimandando gli accertamenti o non ritenendoli necessari.
Dal direttivo dell’associazione Annastaccatolisa ho ricevuto subito un’unanime approvazione alla mia richiesta.
Ecco che sabato 8 giugno 2019, a Larciano in provincia di Pistoia, alla presenza delle autorità locali, di Roberta e Daniela, rispettivamente presidentessa e vicepresidentessa dell’associazione Annastaccatolisa, delle volontarie dell’associazione e davanti ad un nutrito pubblico, si è tenuta l’inaugurazione della prima panchina rosa col richiamo di azzurro. Sono stato invitato a partecipare a questa inaugurazione e come ho avuto modo di dire durante il mio intervento di ringraziamento, questa è stata una vera conquista.
È stato un primo importante momento che deve essere ricordato come l’inizio di un percorso verso “un’uguaglianza di genere” che la prevenzione del cancro al seno deve raggiungere; pur considerando le dovute proporzioni in termini di frequenza del problema tra donne e uomini.
Annastaccatolisa – inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano
Annastaccatolisa – inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano
Annastaccatolisa – inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano
Annastaccatolisa – inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano
Annastaccatolisa – inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano
Annastaccatolisa – inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano
Annastaccatolisa – inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano
Annastaccatolisa – inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano
Annastaccatolisa – inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano
Annastaccatolisa – inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano
Inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano – Stafano Saldarelli e Roberta Romani presidentessa Associazione Annastaccatolisa
Inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano – Antonella Manganelli, mia moglie, insieme a Daniela Cheli vice presidentessa Associazione Annastaccatolisa
Annastaccatolisa – inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano
Annastaccatolisa – inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano
Annastaccatolisa – inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano
Annastaccatolisa – inaugurazione panchina rosa e azzurra a Larciano
Guardando in positivo non posso che essere contento di ciò che è avvenuto a Larciano e ringrazio il Comune e l’associazione Annastaccatolisa per aver accolto la mia richiesta e per avermi invitato.
Resta un po’ “mezzo vuoto il bicchiere” perché avrei apprezzato che fosse colorata una doga o un angolo della panchina piuttosto che utilizzare l’azzurro solo come colore per scrivere la frase “La prevenzione è il primo gesto d’amore che dobbiamo a noi stessi”. Questo perché dopo l’inaugurazione, quando “i riflettori” si spengono, i palloncini rosa e azzurri si sgonfiano e tutti tornano a casa, resta una bella panchina rosa con una scritta importante, evocativa ma, chi “non sa”, chi non era all’inaugurazione e chi passerà da quella piazza e magari si siederà su quella panchina, difficilmente capirà che quel tratto azzurro si rivolge e rappresenta quegli uomini a cui deve arrivare l’informazione della prevenzione del cancro al seno. Qui parla il grafico…
Comunque. ripeto, considero questa panchina rosa, con un tocco di azzurro, un primo grande importante passo avanti. Ora non resta che “aggiustare il tiro” e puntare ad avere la doga azzurra e far sì che le prossime panchine le abbiano “di serie”.
Invito il sindaco Matteo Biffoni a considerare il mio invito e ad adoperarsi in tal senso, insieme all’associazione Annastaccatolisa, per porre “rimedio” alla panchina rosa pratese. Lo invito personalmente a colorare una doga di azzurro, magari lo facciamo insieme, ad ottobre, in occasione del mese rosa; riconosciuto a livello mondiale come il mese dedicato alla prevenzione del cancro al seno.
Ho deciso di parlarvi di chemioterapia; di quella a cui mi sono sottoposto.
Ho deciso di farlo per dare un messaggio a coloro che si trovano a dover affrontare un percorso chemioterapico e in questo momento vivono un conflitto interiore dominato da mille domande e altrettante incertezze.
Ho deciso di farlo per informare i parenti dei pazienti oncologici che sono coinvolti emotivamente in questo percorso e che necessitano di informazioni “meno istituzionali” e più pratiche: da chi ha provato sulla propria pelle un trattamento chemioterapico.
Vi racconterò cosa ho vissuto, per darvi modo di capire e forse di trovare qualche argomento utile per aiutarvi ad affrontare con più consapevolezza il vostro percorso.
Se siete di quelli che preferiscono “affidarsi”, senza sapere, il mio consiglio è di NON proseguire nella lettura di questo post. Diversamente, se siete tra quelli che hanno bisogno di avere elementi concreti per elaborare un proprio pensiero, ecco che questo post potrebbe offrirvi quanto state cercando.
NOTA per i più sensibili: Più avanti troverete un paio di foto che mostrano: una l’infusore automatico per chemioterapia e l’altra il mio braccio sul quale è applicato l’ago col relativo cannello per la somministrazione dei farmaci. Avvertiti…
Usando una metafora cinematografica, questo post è uno “spoiler” su quanto avviene, in certe condizioni, per certe forme di cancro, durante il trattamento chemioterapico.
Prima di tutto ci tengo a precisare che NON sono un medico ma un ex, spero, malato dicancro al seno. Sono un uomo tra quei 130 casi circa all’anno che in Italia coinvolgono la popolazione maschile con questo “alieno”.
Altra cosa che mi preme riportare in queste righe è che NON esiste “LA” chemio ma esistono vari trattamenti chemioterapici, ognuno formulato per una specifica neoplasia.
Non solo, per la stessa forma di cancro non esistono trattamenti identici. Ogni terapizzato viene sottoposto a serie valutazioni da parte del GOM (Gruppo Oncologico Multidisciplinare) che raggruppa vari medici specializzati in vari campi della medicina che prendono in esame ogni singolo caso, lo studiano e di concerto decidono quale specifico protocollo terapeutico adottare. Ogni GOM stabilisce tempi, dosi e tipologia di farmaci da impiegare per ogni paziente, secondo delle linee guida dettate dalla comunità scientifica internazionale e che tengono in considerazione, oltre la patologia di per sé, anche il sesso, l’età, il peso corporeo e lo stato generale di salute della persona.
In virtù di questo, se il vostro trattamento NON prevede l’uso di TAXOLO e TRASTUZUMAB, e a chemio conclusa l’impiego del TAMOXIFENE, non starete per affrontare il mio stesso protocollo terapeutico (e che in parte sto ancora seguendo). Potete quindi risparmiarvi il resto del post. In caso contrario, vi invito a proseguire nella lettura con la speranza di potervi dare utili informazioni.
Finite le raccomandazioni… cominciamo!
“Non tutte le chemio vengono per nuocere”
…è il modo di darvi il mio personale messaggio positivo, se in questo momento vi trovate a dover iniziare un percorso di chemioterapia e non sapete né cosa vi aspetta né quali effetti avrà su di voi.
Ciò che posso raccontarvi è ciò che è accaduto a me, senza aggiungere o togliere nulla. Mi permetto solo di dirvi che l’atteggiamento mentale è tutto, sempre e comunque, più che mai in questi momenti. Pertanto… abbattersi non serve a nulla, anzi, NON giova assolutamente al vostro fisico e soprattutto alla vostra mente. I primi passi sono i più difficili, quelli incerti, fatti “al buio”. So che le cose vi sembreranno strane, difficili, anche assurde e incomprensibili. Ognuno troverà il proprio modo di affrontare la cosa ma vi assicuro che il migliore di tutti è pensare al presente e godere al massimo delle cose belle della vita. Il cancro è un “alieno” che oramai è diffuso in tutto il mondo; questo grazie a ciò che l’uomo continua a fare su questo pianeta, in barba a qualsiasi concetto di equilibrio, rispetto per l’ambiente e quindi per noi stessi. Detto ciò… poniti meno “perchè” e stampati più “smile” 🙂
Non solo… è arrivato il momento di tagliare i “rami secchi”: se accanto a te gravitano “persone che si piangono addosso” e che fanno del tuo problema il loro problema, il mio consiglio è di farti da parte (o farle da parte) e di non dare troppo spago a questi soggetti. Spesso tendono a tirarti dentro il baratro e ad assorbirti energie. Ora devi pensare a te, tutte le energie ti serviranno. Viceversa, attrai a te le persone positive e che ti amano. E’ il momento giusto per mettere alla prova il significato della parola “amore”.
Altra cosa, importante: ricorda sempre che c’è chi sta combattendo la stessa battaglia o di peggiori; quindi, non sei l’unico/a e soprattutto non sei solo/a.
Prima di addentrarci in certi argomenti, per sdrammatizzare un po’, ho deciso di inserire tra queste righe, non a caso, un estratto dal film Frankenstein Junior di Mel Brooks.
A questo punto…
Occorre che vi specifichi che nel mio caso il trattamento chemioterapico è stato ritenuto necessario dal GOM perchè, a seguito dell’intervento chirurgico, sono stati adottati i protocolli preventivi per fare in modo che le cellule tumorali, eventualmente ancora presenti nell’organismo o quelle che potrebbero, per qualche ragione, formarsi successivamente, possano avere “vita breve”. In pratica, l’intento è di creare un “ambiente ostile” al proliferare delle cellule cancerogene di quella particolare forma di cancro, evitando così delle recidive. Quindi, se fai la chemio per il cancro al seno, come nel mio caso, non è che di fatto sei “protetto/a” da tutte le neoplasie. Magari fosse così… Mi piace pensare che sei “meno vulnerabile” rispetto a quella che ti ha già colpito; anche se poi, aimè, conosco persone che hanno avuto una recidiva anche dopo essersi sottoposte a trattamento chemioterapico. Questo si chiama karma, sfiga, destino o come vuoi… io lo chiamo semplicemente “vita”.
Prima accetti tutto questo e prima troverai il modo e il tempo per apprezzare “il bello” che questa esperienza ti può portare… Sembra strano ma troverai anche il lato positivo che non si esaurisce col fatto che farai la chemio per prevenire o guarire dal cancro ma che grazie a questa esperienza vedrai che intorno a te “succederanno cose”, conoscerai persone e avrai modo di conoscere meglio te stesso/a, compresi i tuoi limiti e le tue capacità.
La mia chemio
Ho cominciato la mia prima chemio il 2 di febbraio 2018. Il programma prevedeva una chemio alla settimana per un totale di 12 settimane. Posso dirvi che alla vigilia della prima infusione ero molto teso, più che altro per l’incognita del trattamento e degli effetti che avrei potuto manifestare di lì a poco. Non solo, al termine di uno degli incontri pre-chemio col mio medico oncologo ne sono uscito con una busta di farmaci “da usare in caso di emergenza”. L’intento era di poter avere, al bisogno, un farmaco per ogni tipologia di effetto collaterale si fosse presentato nel corso del trattamento. Non è che di fatto questo ti pone mentalmente in una condizione di tranquillità ma, come si dice… “prendi e porti a casa” e così ho fatto.
Cosa avviene in pratica?
Dietro preciso appuntamento, programmato insieme al medico oncologo e confermato dal reparto di oncologia ad ogni vigilia del trattamento, arrivi all’ospedale e attendi che il tuo nome venga annunciato tramite altoparlante. Io scelsi di effettuare i trattamenti tutti i venerdi alle ore 14.00 in modo tale da “non guastare più di tanto” la mia settimana lavorativa e, qualora fosse stato necessario, avere a disposizione il weekend per riprendermi.
Ti accoglie un’infermiera che ti conduce alla stanza dove verrà effettuato il trattamento e ti fa accomodare su una poltrona regolabile nell’inclinazione, altezza, etc… Diciamo che è piuttosto comoda anche se ovviamente quando sei lì pensi che staresti meglio in ginocchio sui ceci ma a casa tua. Comunque, ti siedi cercando di trovare la posizione più confortevole mentre l’infermiera prepara l’apparecchio che regola l’infusione dei farmaci e le varie dosi di medicinali che dovranno essere iniettati secondo una precisa sequenza.
Ognuno di questi prodotti è contenuto in un singolo contenitore da flebo, di grandezze variabili, e viene inoculato nella sequenza prevista: dal primo all’ultimo.
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Non ho voluto farmi applicare né PICC (Peripherally Inserted Central Catheter, catetere centrale inserito perifericamente) nè PORT o (Port-a-cath) –vedi link di approfondimento-. Sono due dispositivi che permettono un più facile accesso venoso. Entrambi vengono applicati al paziente (l’uno o l’altro) prima di iniziare il primo trattamento e di solito vengono rimossi dopo aver ultimato tutti i cicli di chemioterapia. Da questi dispositivi si inserisce l’ago dal quale passeranno i farmaci e attraverso i quali si effettuano i prelievi di sangue per i vari controlli, senza dover praticare nuovi fori nelle vene. Sono una sorta di “portale di accesso facilitato”. Non mi sono voluto far applicare né l’uno né l’altro dispositivo perché ritenevo che potessero solo darmi un gran fastidio. Sono un professionista abituato a muovermi per lavoro e solo a pensare di avere un “aggeggio” inserito in una vena, e di dovermelo portare a giro per mesi, non mi andava giù. Ho delle grosse e robuste vene, avrei comunque potuto farmi applicare uno dei due suddetti dispositivi anche a trattamento iniziato, qualora avessi riscontrato problemi causati dal farmaco chemioterapico: tra i possibili effetti collaterali ha un’azione “sclerotizzante” delle vena che riceve le infusioni. Dopo varie chemio, possono irrigidirsi le pareti venose e manifestarsi degli ematomi. Ho tentato “la sorte” e ho cominciato a farmi bucare con il normale sondino da flebo; come si vede nella foto sopra riportata. In pratica: 12 buchi sul braccio destro per la chemio e altrettanti sul sinistro per i prelievi del sangue.
Tra un flacone da flebo e l’altro la macchina che si occupa di pompare i farmaci emette un segnale acustico non appena il prodotto contenuto nel flacone è esaurito. I beep scandiscono le tue giornate trascorse nella sala delle chemioterapie. Al beep della macchina corrisponde un beep che azioni volontariamente tramite un apposito pulsante che serve per segnalare alle infermiere che occorre sostituire il flacone appena esaurito.
Nel mio caso posso solo dire che a Prato, presso l’Ospedale Santo Stefano, sono stato assistito in modo meraviglioso e puntuale. Le infermiere sono competenti, gentili e premurose. Non ho mai atteso oltre il ragionevole tempo che occorre alle operatrici sanitarie per intervenire su ogni singolo paziente che le chiama per il cambio della flebo o per altri interventi. Tutto è sapientemente eseguito e condotto a termine grazie all’esperienza pluriennale del personale del reparto di oncologia che pur muovendosi in modo rigoroso e professionale non è esente dal dispensare sorrisi e parole di sincero interesse per lo stato di salute di ognuno. Grazie!
Nella “stanza della chemio” puoi essere in compagnia di altri pazienti. Le poltrone a disposizione nel reparto di Prato sono tre per stanza quindi al massimo puoi trovarti con altri due “compagni di avventura”…
C’è la televisione; se vuoi vederla, se ti piace e soprattutto se non viene monopolizzata dalla “tipa” amante delle telenovelas o delle trasmissioni “da diabete” che imperversano i palinsesti televisivi di primo pomeriggio. Dico da diabete perché spesso sono caratterizzate da storie mielosissime, il tutto infarcito da una buona dose di personaggi “creativi”, “alternativi” e di “tendenza”..mah… Un affettuoso saluto a Caterina Balivo! 🙂
Quanto dura la chemio?
Tra tutto, e intendo inserire nel compendio quel minimo di attesa, la preparazione, le infusioni e il tempo necessario per “ricomporsi” per poi uscire dall’ospedale, mi andavano via circa due ore e mezza, due ore e quaranta. Di per sé la chemio dura un paio d’ore ma passano abbastanza velocemente.
Mia moglie mi ha sempre accompagnato, trascorrendo con me tutto il tempo necessario. Questo mi è stato di grande conforto. Col passare delle settimane il nostro è diventato una sorta di appuntamento intriso di piacevoli rituali che rendevano l’evento stesso un momento di reciproco coinvolgimento e d’amore. Un esempio su tutti, potrei riportarne tanti, mia moglie preparava una borsina all’interno della quale ci metteva la bottiglia dell’acqua, una vaschetta con delle mele spezzettate e qualche mandorla sgusciata. Consumavamo insieme questo “pic-nic” durante la seduta e alla fine della chemio mi faceva trovare un regalino; cose semplici ma per me preziose, di grande conforto e anche inaspettate; soprattutto all’inizio dei primi trattamenti. Sono fortunato ad averla incontrata! Oltretutto è lei che mi ha salvato la vita.
Il Trastuzumab
Oltre alla chemio, ogni tre settimane (lo sto facendo tutt’ora) mi viene somministrato il Trastuzumab. Solo per pronunciare il nome mi ci sono volute dei mesi e tutt’oggi mi trovo spesso in difficoltà, tant’è che preferisco chiamarlo “la divinità atzeca” perchè il nome mi ricorda appunto una divinità ancestrale o una sua “maledizione” 🙂
Insomma…
questo farmaco, detto “intelligente”, e sul quale mi sono potuto esprimere in merito a questa definizione in un mio precedente post, viene somministrato tramite iniezione nella coscia, sotto cute. L’infermiera spinge il liquido contenuto nella siringa dosando la pressione in modo tale da inocularlo nell’arco di tempo di circa 5 minuti. In pratica deve iniettarlo molto lentamente. Non fa male; dà solo un po’ di fastidio all’inizio, appena entra il liquido o se viene esercitata un po’ troppa pressione sullo stantuffo della siringa. Quindi, ogni tre settimane, durante la tua chemio, nel corso delle due ore circa che sei lì, arriva l’infermiera e ti fa la puntura di Trastuzumab nella coscia. “Non ci facciamo mancare nulla”.
Nota a margine per il produttore dell’Trastuzumab: “ma non sarebbe possibile rendere disponibile questo farmaco sotto forma di cerotto transdermico?” Come i cerotti alla nicotina o quelli che contengono antidolorifici, per intenderci. Sarebbe un vantaggio sia per gli infermieri, che in quei minuti potrebbero dedicarsi ad altro, sia per i pazienti che devono starsene immobili a farsi iniettare “la maledizione atzeca” per cinque minuti, oltretutto dovendo andare in ospedale, anche dopo la chemio, per fare solo questa iniezione.
In conclusione:
Le 12 settimane sono passate. Al netto di tutto devo dire che ho trascorso i tre mesi di chemio tra alti e bassi ma mai bassi da provocarmi vomito, dolori di stomaco o altro del genere. Vi dico esattamente cosa ho avuto:
Effetti collaterali:
Stanchezza: fin da subito è arrivata la stanchezza che poi si è mantenuta su livelli sopportabili fino alla nona seduta chemioterapica. Dalla decima all’ultima sono stato peggio: stanco, alle volte stanchissimo. Mi ricordo che una domenica sono dovuto andare a letto di pomeriggio perché non avevo fiato per fare nulla. La stanchezza è proseguita anche per tutte le due settimane dopo l’ultima chemio.
I capelli: non li ho persi; si sono solo fermati nella crescita. Me li ero rasati prima di iniziare la prima chemio. Non volevo farmi “prendere alla sprovvista” e soprattutto “non volevo che il gioco” fosse condotto dalla chimica. Ho preferito “far piazza pulita”. Durante i mesi di trattamento si è fermato tutto, fatta eccezione per la crescita della barba che ha continuato ad essere presente sul mio viso, se pur con minor vigore e rapidità. Ho risparmiato un po’ sui rasoi.
Acne: sono tornato adolescente. Verso la metà del trattamento ho cominciato a manifestare acne sul volto, soprattutto sulla fronte e sul torace. Mi sono riempito ma il tutto ha cominciato a regredire poco dopo l’ultima chemio per poi scomparire del tutto dopo un paio di settimane.
Appetito: non è cambiato assolutamente nulla. Mi era stato detto che probabilmente mi sarebbero cambiati i gusti; che alcuni alimenti che ero abituato a consumare mi avrebbero disgustato. Nulla di tutto questo. Mangiavo prima, mangiavo durante, mangiavo…
Unghie: Talvolta possono scurirsi o in alcuni casi possono anche sollevarsi dalla falange. Nel mio caso si sono appena scurite nella parte terminale, verso l’estremità della falange. Un effetto cromatico che è durato parecchie settimane e che è comparso dopo l’ultima chemio… probabilmente l’undicesima e la dodicesima chemio, per me, sono state “un po’ troppo”: alcuni effetti si sono manifestati proprio al termine dei trattamenti. Comunque, anche questa “manifestazione soprannaturale” è un lontano ricordo.
Oggi:
Subito dopo aver terminato l’ultima chemioterapia ho riportato all’ospedale i farmaci, intonsi, di cui sopra. E’ stata una liberazione!
Sto continuando il trattamento ogni tre settimane con Trastuzumab e da circa una quarantina di giorni ho iniziato la terapia ormonale col Tamoxifene. Terapia che mi accompagnerà per tutto un lustro e per la quale, per adesso, non posso esprimermi in termini di sensazioni/effetti se non per un po’ di pesantezza alle gambe che avverto soprattutto da metà giornata in poi. Occorre inserire “nella terapia” anche la camminata, almeno una buona mezz’ora al giorno. Purtroppo non sempre riesco a farla ma ci sto lavorando per migliorare il mio impegno in tal senso. Dopotutto, chemio o non chemio, dovremmo camminare tutti almeno una mezz’ora al giorno.
Controlli:
In tutto questo percorso sei sempre seguito/a dal tuo medico oncologo. Durante la chemio lo incontri ogni tre settimane e poi ogni 6. Continui a fare analisi del sangue a partire da quelli di routine che vengono effettuati il giorno prima della chemioterapia il cui esito stabilisce o meno l’autorizzazione ad effettuare la chemio il giorno successivo. Fai altri controlli come l’ecocolordoppler che permette di monitorare lo stato di salute del cuore. Il Trastuzumab può agire sul muscolo cardiaco ed è bene avere sempre la situazione sotto controllo.
Conosco tante persone sottoposte a chemioterapia. Ognuno ha la propria storia; ognuno ha il proprio fisico e una mente che reagisce in modo esclusivo. Anche tu supererai questo momento, troverai le forze per farlo, volente o nolente. L’importante è, come ti ho scritto all’inizio di questo post, NON abbattersi, stamparsi in volto un bello “smile” e andare avanti. Se poi avrai i tuoi momenti “down”, prendili come tali, sono momenti e passeranno anche quelli.
Ho avuto il piacere e l’onore di visitare il villaggio allestito in occasione della IBCP Dragon Boat Festival 2018che si è tenuta a Firenze nei giorni 6-7-8 luglio. Ho conosciuto tante persone e ho visto migliaia di donne operate di cancro al seno. Donne affiatate, solidali, coinvolte in un progetto sociale e sportivo che le unisce a livello mondiale. Ben 120 squadre in gara provenienti da 18 nazioni per un totale di circa 4000 partecipanti. Tutte donne che hanno vissuto l’esperienza del cancro al seno. La maggior parte di queste sono state sottoposte a chemioterapia e oggi pagaiano, in squadre da 20 persone ciascuna.
Col mio amico Paolo di Roma, accompagnati da mia sorella e dalla mia inseparabile moglie, abbiamo girato in lungo e largo il villaggio, potendo stringere la mano a tante donne. Tra queste abbiamo scovato anche tre uomini che oltre a me e Paolo erano stati operati di cancro al seno.
Questa è la foto che ritrae i “magnifici 5”; quello a bocca aperta sono io 🙂 Da sinistra: Frank dalla Germania, io da Prato, Paolo da Roma, Mark dall’Irlanda e André dal Canada.
Voglio salutare questi compagni di avventura e, a voi che state per intraprendere un importante e lungo percorso, auguro tutto il bene possibile.
Cercate di parlare con la gente per invitare tutti a FARE PREVENZIONE, ANCHE GLI UOMINI PER IL CANCRO AL SENO. Tra questi 5 che vedete in foto io sono il più fortunato, quello al quale il cancro al seno è stato diagnosticato in fase più precoce, grazie a mia moglie. Questo ha voluto dire: intervento chirurgico meno invasivo e trattamenti più mirati.
Il mio messaggio si riassume in questa immagine che accompagna la mia campagna di sensibilizzazione sul cancro al seno maschile:
Se ne parliamo impariamo a conoscerlo. Se lo conosciamo lo possiamo prevenire. Se lo ignoriamo può sopraffarci.
In questo post parlo di cancro al seno.
Ho deciso di iniziare citando una frase tratta dal film Spider-man del 2002 di Sam Raimi.: “Da un grande potere derivano grandi responsabilità”.
I poteri a cui si riferisce lo zio Ben non afferiscono a quelli acquisiti da Peter Parker dopo essere stato morso da un ragno ma a quelli che tutti noi abbiamo. Parlava più in generale dei poteri che spesso ci dimentichiamo di avere. La vita stessa è già di per sé un grande potere al cui interno sono contenuti altri poteri che maturano nel corso della nostra esistenza.
In questi giorni pensavo a ciò che mi è capitato e a quello che ho scritto in merito al cancro al seno, all’intervento a cui sono stato sottoposto, alla chemio, a tutto quello che è accaduto nell’arco di pochi mesi. Pensavo a ciò che si è innescato in me ma anche a quello che di riflesso è avvenuto nelle persone che hanno condiviso con me questa esperienza. E’ stato, ed è tutt’ora, un evento che ha avuto la forza di generare “cose”.
Ho ritrovato tanti amici che mi hanno manifestando il loro affetto. Mi hanno scritto persone che non conoscevo, ringraziandomi per ciò che ho scritto e mostrato attraverso il post: La mia storia parla di cancro al seno maschile. Ho compreso che stavo generando qualcosa di importante, scaturito da “grandi poteri”:
la conoscenza o consapevolezza di un male che mi ha toccato, che mi ha colpito personalmente e dal quale ho tratto un’esperienza e…
la necessità di raccontare o di comunicare questa esperienza attraverso il mio blog.
La comunicazione è uno dei poteri più grandi che l’uomo possiede.
Ci viene facile raccontare la nostra esperienza dopo aver visto un film, essere stati in un ristorante, aver fatto una vacanza, etc. Ci entusiasmiamo nel raccontare ciò che ci è capitato, anche se non è stato il massimo. Anzi, se l’esperienza è stata negativa facciamo del nostro meglio, o del nostro peggio, per dissuadere il nostro interlocutore dal fare la nostra stessa scelta: “pessimo ristorante”, oppure “un film così brutto non lo avevo mai visto, non andare a vederlo”…
Il male è brutto, certo, ma è anche un’esperienza importante che se metabolizzata e condivisa può essere motivo di accrescimento umano e culturale. Offre la possibilità di conoscere qualcosa che può essere evitato o curato, può dare conforto a chi vive già un’esperienza simile, può sensibilizzare l’opinione pubblica su un argomento di cui si parla poco, come in questo caso, può mitigare paure e far crollare dei tabù. Quindi, perché non condividerla?
Ecco il perché ho deciso di parlare del cancro al seno.
Avere “grandi poteri, implica grandi responsabilità” e come uomo ho deciso di mettere la mia esperienza, “i miei poteri”, a disposizione degli altri. Credo che sia giusto far sapere che “il cancro al seno non è solo roba da femmine” ma è un problema che può manifestarsi anche nell’uomo, anche se con minor frequenza rispetto alle donne.
Desidero fortemente che si faccia informazione su questo argomento; che se ne parli attraverso ogni mezzo. Mi piacerebbe che questa “campagna sul cancro al seno” potesse diventare motivo di coesione e condivisione di un problema che evidentemente non fa distinzione dei sessi (se non per differenza di percentuali). Sarebbe molto più bello non doverne parlare affatto ma poiché esiste ritengo sia corretto e sensato cominciare a parlarne in modo trasversale.
Vorrei parlare di prevenzione iniziando proprio da quelle meravigliose, forti e allo stesso tempo sensibili donne che di frequente sono costrette a fare i conti con questo problema. Da quelle donne che fin dall’età dello sviluppo imparano ad effettuare l’autopalpazione, spesso attraverso l’insegnamento ricevuto dalle mamme o dalle nonne. Mi rivolgo a voi donne che avete acquisito consapevolezza, alimentata da una comunicazione sul tema sempre più diffusa e attraverso programmi di prevenzione specifici promossi dal Sistema Sanitario Nazionale. Prendete la mano dei vostri uomini e insegnategli ad effettuare l’autopalpazione oppure adoperatevi, come ha fatto la mia meravigliosa moglie, nell’accarezzare i pettorali del vostro partner, anche con l’intento di fare prevenzione.
Le carezze sono una cosa meravigliosa, sono uno dei gesti più semplici ma anche tra i più belli che possiamo scambiarci per manifestare il nostro affetto. Spesso accarezziamo di più un cane o un gatto rispetto ad un marito o ad una moglie. “Va bene tutto” ma, forse, donare qualche carezza in più al proprio partner, fatta con consapevolezza, con attenzione, col voler trasmettere amore attraverso un gesto, volto anche alla prevenzione, credo sia FONDAMENTALE e NECESSARIO!
Stessa cosa per chi è single. Il gesto dell’autopalpazione è di per sé una carezza che esprime amore per se stessi e quindi anche per le persone care che ci circondano. Se ci vogliamo bene, vogliamo bene anche agli altri.
Quanto è diffuso il cancro al seno maschile?
I dati che ho trovato in rete non sono molto aggiornati. Il dato più recente e ufficiale che sono riuscito a reperire si riferisce ai casi di decesso per cancro al seno nella popolazione maschile registrati nel 2014 . Il documento è redatto da AIOM Associazione Italiana di Oncologia Medica e da AIRTUM Associazione Italiana Registro Tumori, edito da Il pensiero Scientifico Editore. Nel volume I NUMERI DEL CANCRO IN ITALIA 2017, a pagina 25, è riportata la “TABELLA 8. Numero di decessi per causa e per sesso osservati in Italia durante l’anno 2014. ISTAT 2014.”. Il dato fa riflettere, in generale, perché si parla cause di mortalità legate al cancro e, solo per cancro al seno, riferite a 129 uomini e 12.201 donne.
Non si tratta di fare una gara sui numeri, non ci sono premi, si parla di vite.
Non guardiamo solo il numero riportato in tabella ma riflettiamo sul fatto che dietro ad ogni singola unità corrisponde la morte di una persona. La mia riflessione non vuole distogliere l’attenzione sul problema del cancro al seno femminile o delle malattie neoplastiche più in generale ma ritengo si debba parlare di più del cancro al seno e del fatto che è una malattia che può manifestarsi anche nell’uomo; tutto qui. Non mi pare trascurabile il fatto che 129 uomini siano morti nel 2014 di cancro al seno. Perchè? Conoscevano questo problema? Lo hanno saputo troppo tardi? Credo nel siano tutte domande legittime e comunque resta il fatto che, come me, tanti altri uomini non sono a conoscenza di questo fatto.
Quali sono i fattori di rischio?
Senza salire in cattedra o pretendere di indossare immeritatamente il camice bianco, riporto alcune informazioni dalla rete e quelle ottenute attraverso la mia breve ma significativa esperienza che mi ha visto confrontare con medici ed esperti del settore. Sintetizzo dei concetti per darvi modo di avere dei punti di partenza da approfondire col vostro medico:
età: dopo i 60 anni aumenta il rischio, anche se l’età sembra abbassarsi (io sono un sempio)
peso: sovrappeso e obesità aumentano il rischio
fumo e alcool (si parla di abuso di entrambe le assunzioni) sono indubbiamente fattori di rischio
ereditarietà: fattore genetico. Nei casi di cancro al seno maschile una gran parte di questi è di origine genetica. Sono da ricercare le mutazioni nei geni BRCA2 e BRCA1. Quindi se avete avuto nonne o mamme a cui è stato diagnosticato un tumore al seno, soprattutto in giovane età, può essere consigliabile e utile effettuare un test genetico. Basta un prelievo del sangue e tanta pazienza per attendere l’esito dell’esame.
fattori ambientali: non mi soffermo su questi. Ci vorrebbe un post a parte. Interessano tutte le malattie oncologiche, non solo il cancro al seno.
Sicuramente l’autopalpazione, a prescindere, è il metodo più semplice e immediato per monitorare il proprio pettorale, e non solo, per rilevare eventuali anomalie. Qui voglio esortare gli uomini a non fare “come facciamo di solito”… Non soprassediamo, non freghiamoci di eventuali evidenze che a nostro dire riteniamo del tutto trascurabili. Lasciate che sia un medico a valutare se lo sono o meno.
Dall’autopalpazione si passa ad una semplice ecografia, da effettuare come controllo di routine ma a maggior ragione se attraverso la palpazione del pettorale emergono noduli o zone più dense, in particolar modo se presenti nell’area intorno al capezzolo. A questo punto il medico indicherà il percorso più opportuno da seguire. Nel mio caso, dall’ecografia sono passato all’ago aspirato per prelevare materiale biologico da esaminare. Questo perché è evidente che c’era già qualcosa da prelevare.
Altro segnale di possibile rischio è la ginecomastia (seno pronunciato, assimilabile, per forma a quello delle donne). Di solito è frequente vederlo negli uomini anziani per via dell’aumento del peso e del processo di aromatasi che si manifesta col passare degli anni. Riscontrarlo in età giovanile può essere un indicatore di rischio da tenere sotto controllo anche se la ginecomastia è associabile a manifestazioni neoplastiche benigne. Comunque, vale la pena farsi controllare.
A questo, come parlano le immagini e per promuovere la prevenzione ho deciso nuovamente di espormi in prima persona; questa volta insieme alla mia stupenda moglie Antonella. Ringrazio Francesco Bolognini, Studio Fotografico Bolognini di Prato, per aver cristallizzato in uno scatto questo momento che riassume ciò che è accaduto ad agosto 2017 quando Antonella, con la sua carezza, scoprì il nodulo che poi si è rivelato essere un carcinoma duttale infiltrante alla mammella. Con questa immagine desidero promuovere la palpazione o all’autopalpazione a scopo preventivo:
Permettetemi di ringraziare la redazione de IL TIRRENO e in particolar modo la giornalista Maria Lardara che si è occupata del mio caso, con estrema delicatezza e professionalità, rilanciando la mia testimonianza a beneficio dei lettori del noto quotidiano.