Coronavirus. Niente sarà più come prima.

C’è chi sentenzia sventolando la bandiera del “Niente sarà più come prima“, quasi fosse una sorta di anatema o di avvertimento.

Vi ricordate la scena del celebre film “Non ci resta che piangere” dove il frate arriva sotto il davanzale dal quale si affaccia Massimo Troisi?

Al sentire “Niente sarà più come prima” mi verrebbe di rispondere “Mo’ me lo segno”, a cui potrebbero seguire tutta una serie di gesti scaramantici.

Preferisco pensare in termini più costruttivi, rispetto a quelli disfattisti evocati da coloro che cercano di riempire pagine dei giornali o i palinsesti televisivi con frasi ad alto contenuto negativo. Vorrei pensare al concetto di opportunità e anche di risorse piuttosto che ad un contesto post bellico o distopico che ultimamente pare andare per la maggiore.

“Niente sarà più come prima” pare un monito, un avvertimento o addirittura una minaccia. Una sorta di mantra negativo che deve essere continuamente ripetuto per creare ulteriore disagio, sconforto e paura; come se il Coronavirus di per sé non fosse già un problema importante a cui pensare. Almeno parrebbe così stando a ciò che spesso segue dopo “Niente sarà più come prima”. Sentiamo solo parlare di mascherine che devono costare 50 Centesimi ma che non si trovano a questa cifra; di come e quando portarle ma poi ogni Regione decide per conto proprio; di distanziamento sociale; di sistema sanitario nazionale che negli ultimi decenni ha subito tagli al bilancio a cui sono seguiti i problemi, evidenti a tutti, nell’ambito della situazione emergenziale legata al Coronavirus; di segno negativo del PIL con cifre che ogni giorno vengono ritoccate al ribasso; di un’Europa che non c’è o che non risponde come dovrebbe e che quando si fa sentire lo fa per batter cassa o imporre restrizioni; di nazioni, come la Germania, che legiferano a loro favore – come mi parrebbe giusto che sia – anche a dispetto delle norme europee – questo mi parrebbe un po’ meno giusto se tali decisioni si riflettono negativamente sulla sorte delle altre nazioni europee – . Sentiamo che alla Caritas sono aumentati i poveri, addirittura raddoppiati; che molti negozi, attività commerciali, aziende e professionisti non riapriranno più; che il Governo vuole regolarizzare chi lavora a nero e gli extracomunitari ma intanto non arriva la cassa integrazione ai regolari; che il debito pubblico italiano è insostenibile e che il rischio di default non è uno scenario impossibile. Potrei continuare ma il mio scopo non è abbrutirvi oltre misura e amplificare l’aura di negatività ma offrire degli strumenti di analisi per comprendere una certa comunicazione che si insinua e pervade le nostre menti e che necessita di una sorta di “antiacido” per essere digerita.

Oramai il COVID-19 è un macro argomento all’interno del quale risiedono temi vari sui quali prevale l’onnipresente catastrofismo legato alla salute caratterizzato dalla conta dei morti, dall’esposizione delle bare e dal susseguirsi di teorie e pratiche mediche che paiono miracolose per sconfiggere il Coronavirus per poi essere subito smentite o considerate addirittura perfette cialtronerie dai soliti indefessi e sovraesposti esperti che continuano, sempre e comunque, a parlare dell’efficacia del vaccino che non c’è. Con la “Fase 2” si aggiunge il catastrofismo legato all’economia, a quella ripresa che non si riprende e che parte da quel “restiamo tutti a casa” arrivando al “torniamo a lavorare ma non tutti”, comportando, come gli esperti dovrebbero sapere, un gap nella ridistribuzione dei proventi dovuto alla mancanza di alcune categorie produttive che non lavorando non si inseriscono nel circuito economico. L’esempio più lampante è il ristorante che non aprendo non compra vino, pesce, carne, verdure e quindi non dà lavoro alle aziende vitivinicole, agli allevamenti, alle aziende agricole, etc.

C’è un altro modo di vedere il “niente sarà più come prima” ed è il modo dell’atteggiamento pronto al cambiamento.

L’atteggiamento di quella “resilienza fattibile” e non di quella più sterile, continuamente evocata solo perché piace come parola e alla quale non seguono consigli o esempi a cui ispirarsi. Essere resilienti non è facile ma è una caratteristica che ognuno di noi possiede e che può attivare, consciamente o inconsciamente, lavorandoci o semplicemente ascoltandosi. E’ latente e si attiva nel momento in cui arrivano le difficoltà. Ognuno di noi, lungo il proprio cammino di vita, si trova puntualmente ed inevitabilmente ad impattare con situazioni brutte, alle quali apparentemente non trova risposta e via di uscita. La vita è una strada che si caratterizza anche per la presenza di pendenze impervie, scivolose che possono essere affrontate solo attraverso il coraggio e la determinazione. La resilienza è la sorella, di opposto carattere, della disperazione. La prima ti permette di rialzarti più forte e determinato di prima. La seconda è quella che porta alla depressione e poi, se “prende residenza nella mente”, ai gesti più estremi; non è un caso che in questo periodo siano aumentati i suicidi.

Continuare a parlare di male, di crisi, di tragedie, di negatività in generale non fa altro che aumentare la possibilità che la disperazione prevalga sulla resilienza.

Pare un gioco perverso che esiste da sempre ma che in occasione di eventi drammatici tende a rinnovarsi col preciso intento di aumentare la performance dell’aura di negatività diffusa e persistente che tutti avvertiamo. Pare che le notizie cattive facciano vendere di più e catalizzino maggiormente l’attenzione delle persone, almeno rispetto alle buone notizie. Viviamo in una società basata su modelli creati dall’uomo, radicati nella cultura di tutti e che prendiamo come assiomi. Sappiamo che nasciamo, che dobbiamo andare a scuola, poi a lavorare, poi ci sposiamo, compriamo la casa, ci indebitiamo e quindi occorre lavorare ancora di più ma con il desiderio e l’obiettivo di arrivare all’estate per andare al mare e poi a dicembre facciamo l’albero di Natale e poi si invecchia, si va in pensione – forse – e poi si muore. A parte il primo e l’ultimo step, comuni a tutti, questo è ciò che accade; almeno in occidente, con tutte le variazioni sul tema, a seconda delle religioni e delle zone in cui uno vive.

Ma siamo sicuri che questo sia il modello ideale?

Da quando l’uomo calpesta questo pianeta esistono le disparità tra chi sta sopra e chi sta sotto: economicamente, intellettivamente, intellettualmente, militarmente, muscolarmente, geograficamente… Esistono guerre, malattie, carestie, tragedie, anche naturali e non solo create dall’incuria o dalla presunzione dell’uomo, lo sappiamo.

Cosa ci fa percepire il “COVID-19 e dintorni” come una condizione particolarmente tragica, eccezionale e grave?

Sono tre i fattori fondamentali:

  1. ci tocca, lo stiamo vivendo. Quindi il primo è il fattore tempo, siamo coevi a questo casino
  2. l’amplificazione che viene data a questo momento, grazie alla capacità e alla diffusione dei mezzi di comunicazione di cui oggi disponiamo
  3. l’interesse “di chi sta sopra” nel mantenere una condizione di emergenza e di disagio sociale attraverso la quale poter governare, decidere, vendere, comprare, creare ed eliminare…

Allora…

Pensate che la diffusione delle notizie in rete, quelle vere, quelle edulcorate, quelle enfatizzate o le cosiddette fake news, possa portare sulle vostre tavole una qualche differenza? Credete che se oggi la BCE legiferasse a favore dell’Italia o se la Germania “abbassasse la cresta” o se Trump twittasse di meno, o lo facesse evitando di minacciare qualcuno, questo possa cambiare la condizione della vostra salute o del vostro conto in banca? Pensate che la politica dica cose fondamentali, utili e risolutive per l’andamento dell’economia, per la tutela della salute o per lo sviluppo culturale, sociale, demografico, etc.? Sono anni che si continua a tagliare la sanità. Sono anni che sentiamo politici rassicurarci, spendere parole a favore della nostra economia e delle imprese. Sono anni che sentiamo parlare degli F-35 e delle spese militari. Sono anni che ci raccontano che verranno tagliati gli stipendi ai politici e ai dirigenti pubblici. Sono anni che sentiamo parlare anche di alcune tragedie delle quali poi, nella sostanza, non se ne è più occupato nessuno; vedi, più recentemente, l’incendio che si è propagato nei boschi intorno a Chernobyl in pieno Coronavirus, e che ha sollevato una nube radioattiva verso l’Italia. Ne hai sentito parlare?

“Il mondo esiste da sempre” e fino ad oggi lo ha fatto senza troppi problemi. Questi, semmai, li creano gli uomini, come il fatto che ci venga imposto un concetto, peraltro di per sé molto astratto, riassumibile nella frase “Niente sarà più come prima”.

Ma perché? E soprattutto, dico, menomale!

Eh sì, menomale. Tutto cambia, non possiamo pensare che il modello sociale che vi ho descritto sia quello perfetto, definitivo e immutabile. Da cacciatori raccoglitori siamo diventati “divanati ipocondriaci“, bipedi sedentari, fobici per ogni cosa che ci circonda. Non viviamo più se non per difenderci da qualcosa. Dalle malattie, dalla politica, dai ladri, dagli extracomunitari, dai Rom, dai cinesi, dai concorrenti, dai virus informatici, dai virus biologici, dal vicino di casa, dal commerciante, dalle frodi telematiche, dagli hacker, dal sole, dai vegani, dalla musica trap, dai comunisti e …isti di vario genere. Stiamo attenti a tutto, a troppo, arrivando a vivere una condizione di non vita, di perenne allerta. Vigiliamo su tutto e quando si richiede attenzione per qualcosa, di fondamentale, non lo facciamo affatto perché richiede troppa attenzione e rischia di rompere gli schemi (leggi routine o zona di conforto).

Essere resilienti in modo realistico è fattibile, partendo dal dispensare positività, di quella sana, non mielosa fatta di finto buonismo come certe pubblicità in epoca Covid-19 hanno enfatizzato, in cui tutti sono belli, sono bravi, sono impegnati in qualcosa di apparentemente molto utile, tutti hanno la mascherina, insieme ce la faremo, colori caldi, dissolvenza, musica emozionante e poi logo finale del brand in questione. No, parlo di quella positività più testosteronica, fatta di un vero e sano patriottismo dove non occorre nemmeno pensare lontanamente di dover ribadire il concetto che quest’anno faremo le vacanze a casa nostra (chi potrà) perché lo faremo e basta, con orgoglio e soprattutto con piacere; dove non dovremmo nemmeno minimamente pensare di acquistare prodotti alimentari stranieri ma privilegiare, anzi, incentivare i nostri distributori, e prima ancora i nostri produttori, a fornirci prodotti italiani e noi ad acquistarli con altrettanto orgoglio e piacere.

Abbiamo bisogno di più orgoglio nazional popolare condito con una dose di effetto “Gladiatore”, grazie al quale evocare un sano e liberatorio: “Al mio segnale scatenare l’inferno”. Quell’inferno che deve essere pura energia positiva, voglia di fare e di lottare per i propri ideali. Ecco cos’è la resilienza, è la trasformazione di quella “loffiaggine” diffusa che si è amplificata con questa quarantena in una chiamata all’azione collettiva, tesa ad aiutare il più debole e a rinforzare le proprie linee difensive. Parliamo di un’Italia che si è sempre distinta per ingegno e per tenacia. Voglio pensare ad una Nazione e non ad un paese. Voglio pensare alle persone e non alle greggi, alle pecorelle e a tutti questi concetti di transumanza cognitiva in cui la persona viene sostituita all’agnello – che si sa poi che fine fa -. Voglio pensare all’eccellenza individuale che deve emergere e non affondare in un mondo sempre più globalizzato, impegnato in un processo di appiattimento sociale e culturale teso ad omologare tutto e tutti. Siamo individui e vogliamo continuare ad esserlo in un mondo che in realtà è fatto di diversità e dove ognuna è fondamentale per garantirci la bellezza della vita stessa. Che senso avrebbe se tutto fosse uguale da per tutto.

Lo stiamo assistendo da decenni, basta guardare le nostre città. Sono sempre più uguali le une alle altre. Stesse catene di negozi, stessi colori, stesse musiche, stesso cibo. Le piazze principali sono sfregiate dalla presenza di manifesti pubblicitari che rivestono intere pareti di edifici, le vetrine dei negozi hanno le stesse cose, ovunque; compri un souvenir delle nostre città e monumenti e poi vedi che è “made in China”…

Come ritrovare la strada e uscire dalla difficoltà? Il concetto è:

  • diversificare, non pensare al lavoro come ad una cosa stabile e unica ma come ad un insieme di azioni quotidiane che vengono compiute per produrre un reddito.
  • innovazione e tradizione, dare spazio alla creatività, alla manualità, all’unicità del prodotto, all’idea, all’esecuzione attraverso le piattaforme digitali. Non occorre tirare su siti web costosi per farsi conoscere ma occorre farsi conoscere attraverso piattaforme web esistenti.
  • non copiare ma ispirarsi proprio per mantenere unica ogni scintilla creativa dalla quale genera l’idea successiva, un’evoluzione di idee, di menti che devono pensare al bello, al buono e al nuovo, valorizzando le tradizioni e tutelando l’unicità e l’originalità.

In concreto? Beh, non ho la ricetta universale e sicura al 100% ma ho delle indicazioni che possono aiutare e adattarsi un po’ a tutti. Ovvio che poi ognuno deve elaborarle e farle diventare delle “linee guida personali”.

  • Dedica mezz’ora al giorno ad ascoltare le persone. A S C O L T A R E ! ! !
  • Dedica mezz’ora al giorno ad aiutare qualcuno, anche solo infondendogli forza e coraggio; la resilienza è contagiosa, se infondi positività anche gli altri si risollevano. Se hai figli comincia da loro.
  • Non dedicare più di mezz’ora al giorno all’informazione, alle news in generale e soprattutto non farlo dopo le diciotto perché la mente deve cominciare a settarsi per la sera e deve lasciarsi alle spalle le negatività per poi dormire bene e senza interruzioni.
  • Dedica mezz’ora al giorno alla meditazione o alla preghiera. La meditazione serve per rivolgersi all’io e la preghiera per rivolgersi a Dio; se siamo veramente fatti a sua immagine e somiglianza credo che le due cose siano compatibili, complementari, intercambiabili e probabilmente interconnesse.
  • Ricorda che il lavoro ti deve permettere di vivere bene e non è che vivendo per il lavoro potrai stare bene. L’impegno nelle cose è fondamentale ma immolarsi per il lavoro, anche no.
  • Dedica un’ora al giorno alla formazione per imparare cose nuove o per migliorare quelle che sai fare o diventa tu maestro e insegna ai più giovani a fare ciò che hai imparato negli anni.
  • Dedica un’ora al tuo corpo per tenerlo in forma ed efficiente per garantirti una vecchiaia in salute.
  • Il resto della giornata dedicalo alle attività che ti permettono di guadagnare. Non un’attività ma più di una. Non occorre essere tuttologi o tuttofare ma occorre essere lungimiranti e capire cosa richiede il mercato. Se temi la concorrenza, fai cose che la concorrenza non può fare o non lo farebbe nel modo in cui lo faresti tu.
  • Se puoi evita di accendere prestiti. Il credito al consumo ha permesso di acquistare tante cose ma ha creato un indebitamento ad oltranza, facilitato anche dalle metodiche di accesso al credito stesso, sempre più performanti e alla portata di chiunque.
  • Dispensa sorrisi, anche con la mascherina. Se sono sorrisi veri si vedranno dai tuoi occhi. Lavora sul cambiamento di te stesso e sii portatore di positività.
  • Non dimenticare di trovare un po’ di tempo per ammirare la natura. Tu fai parte della natura e se non ti riconcili con essa il tuo corpo e la tua mente non potranno stare bene.
  • Leggi e ascolta musica.
  • Nei fine settimana riposa ma trova il modo di scoprire posti, persone e cose nuove.

Coronavirus o altri problemi, ci sarà sempre modo e occasione per dare la colpa a qualcuno, per sentirti male, a disagio, per non vivere la vita. Se continuiamo ad alimentarci di nefandezze, il nostro corpo, ma ancor prima la nostra mente, ci daranno segnali altrettanto negativi. Allora, nell’affrontare la “Fase 2” o la “3” o addirittura la “33”, ciò che fa o farà la differenza sei e sarai tu. Ecco perché menomale “niente sarà più come prima”.

Non puoi fermare il mondo e riavviarlo, tanto vale è farci più giri possibile cercando di volersi più bene per voler più bene agli altri, godendo di ciò che la vita può offrirci. E’ fondamentale godere di ciò che ci viene offerto dalla vita e non di ciò che siamo costretti a comprare.

 


 

Crediti:

  • Un frammento video tratto dal film “Non ci resta che piangere“, del 1984 – Regia Massimo Troisi, Roberto Benigni – dal canale YouTube di Giuseppe Di Giovanna
  • Mascherine a 50 centesimi introvabili: un “pasticcio di Stato” che danneggia tutti – da QuiFinanza
  • Coronavirus, le stime dell’Ue: ‘In Italia forte recessione, il pil 2020 crollerà del 9,5% – da ANSA.it Europa
  • L’Italia e l’Europa. Le imprese sono la soluzione, non il problema – da LaGazzettadelMezzogiorno.it
  • Germania, sul QE sgambetto alla BCE: è la fine dell’Unione Europea? – da QuiFinanza
  • Emergenza. Caritas: “Raddoppiati i nuovi poveri”. Il virus cambia i servizi diocesani – da Avvenire.it
  • La strage delle imprese che non riapriranno – da AGI, Agenzia Italia
  • Governo, scontro su regolarizzazione lavoro nero. M5S frena, Bellanova minaccia dimissioni – da Sky TG24
  • Cig in deroga, Regioni contro l’Inps: “I ritardi non dipendono da noi” – da Repubblica.it, Economia & Finanza
  • Il debito pubblico dell’Italia è sostenibile? – da Globalist Syndacation
  • Coronavirus, l’incertezza fa una strage: è impennata di suicidi. I numeri del dramma in Italia – da Liberoquotidiano.it
  • Caccia F-35, come prima, peggio di prima – da Il Manifesto
  • Incendio Chernobyl, nube radioattiva arrivata sull’Italia – da Quotidiano.net
  • Foto soldato/gladiatore: spartan-3696073_1280 da Pixabay
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Beni di prima necessità. Le leggi, il buon senso, la logica e il COVID-19

Diario di bordo. Data terrestre: 16 marzo 2020.

Tra le notizie che leggo stamani mi è capitata questa…

Coronavirus, nei supermercati vietato l’acquisto di quaderni, pennarelli e biancheria: “Non sono beni di prima necessità” da la Repubblica, edizione di Milano

Foto Fb/Daniela Salvetti dall’articolo su “la Repubblica” edizione di Milano

Non fermatevi al titolo, leggete tutto l’articolo, prendete fiato, contate fino a dieci e poi esprimete un vostro giudizio, se volete.

Il mio pensiero, dopo aver contato ben oltre il dieci, parte da un ragionamento semplice.

Quella scatola di pennarelli o l’album con i fogli per disegnare oppure quel paio di mutande che qualcuno “non considera beni di prima necessità”, lo fa secondo un proprio giudizio o sulla base di un ragionamento oggettivo?

In questo momento, nelle case degli italiani e non solo in quelle, ci sono milioni di bambini reclusi tra le quattro mura da circa dieci giorni, in una condizione di perenne “crisi da inattività”. Non vanno a scuola, non fanno sport, non escono a giocare con gli amici, “NON” in generale.

La condizione che stiamo vivendo mal si confà ad un adulto, figuriamoci per un bambino/adolescente che è privato di ogni sorta di sfogo. Restano le consolle, i videogiochi in generale, gli smartphone, computer, tablet e TV. Tutte cose utili, necessarie ma anche lontane da quelle cose e azioni che ti permettono di essere creativo, efficiente e forse anche bambino.

Tornando a quei pennarelli, vogliamo ritenerli un bene di “non primaria necessità” in un contesto come quello in cui ci troviamo forzatamente a vivere? Non vogliamo fare in modo che la creatività dei ragazzi possa essere manifestata liberamente anche attraverso l’uso del pennarello, dei colori, delle matite, degli acquerelli, etc?

Consideriamo anche l’aspetto psicologico: un bambino dovrà pur sfogarsi, esprimere le proprie emozioni anche attraverso il disegno.

Un insegnante che adesso deve inventarsi nuovi approcci didattici, tutti da remoto, volete che non impieghi anche il disegno per dare vita ad un progetto scolastico, ora più che mai importante e necessario per condividere e raccontare?

Ma poi… se quei pennarelli servissero ad un commerciante di cinquant’anni che in questo momento è costretto a scrivere ed affiggere un cartello col quale comunicare che è chiuso, è da considerarsi una “non necessità”?

Se quei pennarelli servissero per scrivere su dei camici bianchi il proprio nome, magari quello di un infermiere che lavora in un ospedale? Se quei pennarelli servissero per scrivere su delle etichette che poi andranno apposte su delle fiale contenenti campioni di sangue che dovranno andare in un laboratorio? Se quei pennarelli servissero per…

Tutto serve, nella misura in cui mi dici che puoi tenere aperto un tabaccaio, perché evidentemente il fumo in questo momento lo ritieni una cosa necessaria o addirittura per taluni indispensabile.

Serve nella misura in cui posso sentirmi ancora libero di comprare dei pennarelli o delle mutande perché magari ne ho bisogno o più semplicemente perché mi voglio sentire bene con me stesso e perché voglio acquistarli.

Serve ed è necessario perché nonostante le emergenze, le disposizioni, le leggi, i decreti e nel rispetto dei lavoratori, se prendo una scatola di pennarelli o di mutande, non credo che cambi molto la questione o non è di certo questo il tipo di acquisto che potrà fare la differenza in termini di rispetto e/o di sicurezza per i lavoratori o che sia l’elemento determinante che causa l’allungamento delle file di attesa al supermercato.

Semmai, la differenza, la potrebbe fare il potenziamento dell’infrastruttura tecnologica della grande distribuzione, Esselunga in particolare che ha il proprio e-commerce “al collasso”. Comprensibile, tutto si è palesato “in un quarto d’ora” ma è anche vero che il problema non può essere il pennarello quando io non posso ordinare online perché si interrompe il pagamento, con tanto di pagina con errore del server, o perché la data di consegna più vicina per avere la spesa a casa è solo tra dieci giorni. Dico Esselunga ma è l’unica che, bene o male, ha una piattaforma e-commerce con consegna a domicilio capillare, almeno su una parte del territorio ma Conad, Coop, Carrefour, PAM, Auchan o i discount come Lidl, Penny e gli altri marchi famosi che fanno? Chiedo a questi di comunicare, di “strillare” i servizi che hanno approntato in questo momento di crisi per offrire soluzioni tese a limitare le code presso i punti vendita, ad attivarsi con spesa a domicilio o col ritiro sul punto vendita tramite acquisto online (quindi niente code), etc… Uffici marketing, fateci sapere!

Detto ciò… Sai come andrà a finire questa storia?

Che il cartolaio che vende quei pennarelli chiuderà definitivamente, perché lui non può tenere aperto, non può per legge, senza sé e senza ma. La grande distribuzione “fatica ma festeggia” perché in questo periodo, per loro, è sempre vigilia di Natale, con o senza quei pennarelli. Chi emergerà sopra a tutti è “l’inossidabile schiacciasassi” chiamata AMAZON che non solo ti permette di acquistare da casa pennarelli, matite, album, mutante, rastrelli, sexy toys, cacciaviti, prodotti tecnologici, libri e qualsiasi altra cosa ma ti dà musica e film gratis (se sei abbonato a Prime), compresi i cartoni animati per i bambini.

Questa esperienza col COVID-19, in termini economici, decreterà molti perdenti e due grandi vincitori: la grande distribuzione da una parte e i big delle vendite online dall’altra, Amazon in testa a tutti.

Morale di questa storia dobbiamo ricorrere, come sempre e come è giusto che sia, all’intelligenza, alla lungimiranza e alla resilienza.

E’ presto per trarre tutte le conclusioni del caso ma sono sicuro che la prima lezione che l’Italia ha ricevuto da questa esperienza è che è rimasta indietro con la propria infrastruttura tecnologica, col tele lavoro (o smart working), l’e-commerce e l’approccio individuale (leggi cultura) all’uso consapevole della rete, oltre al mero uso dei social network. Per non parlare poi della copertura della fibra a livello nazionale.

Non che tutto debba essere rivoluzionato o trasformato “in un nanosecondo”.

I negozi continueranno ad esserci e mi auguro che possano aprirne altri, anche e soprattutto di piccoli dove trovare o rinnovare il rapporto umano, la cortesia e la consulenza all’acquisto (fattori primari per tenere in vita un esercizio commerciale fisico che si vede portare via il terreno sotto ai piedi dalla concorrenza online).

Ciò che però non dobbiamo perdere di vista è l’opportunità che abbiamo davanti a noi.

Adesso è il momento ideale per ampliare il proprio business sul web. Quella concorrenza online di cui parlavamo prima potreste essere voi. Se Amazon può essere visto come “il male assoluto”, per lo meno da una gran parte dei commercianti che conosco, dall’altra è una grande occasione per ampliare la clientela e fare affari in rete. Vedetela come una complementarietà alla vostra attività e non come un limite. Dopotutto, o fai questo o cosa fare in tempi di crisi o di limitazioni alla propria libertà? Si accettano proposte, si apre il dibattito.

Dimenticavo… Avete preso fiato, avete contato fino a dieci?

Bene… adesso, se volete, esprimete la vostra opinione su quei pennarelli e su quelle mutante che… secondo qualcuno, non sono necessari. “Invito i mutandifici a farsi sentire” 🙂

Grazie!