Le idee sono nell’aria… o vengono dallo spazio?

Ci sono dei momenti in cui avverti un déjà vu.

Corsi e ricorsi della… mente ma anche della storia. E’ il caso dello spot dei Rotoloni Regina

Qualche sera fa ho visto lo spot dei Rotoloni Regina. Sul momento mi è venuto un “mancamento”, non tanto perché mi era balzato alla mente che avevo finito la carta igienica ma perché nel 2012 pubblicai un libro…

…no, non faceva proprio cag.. ma, hem… dire libro è una cosa grossa. Uff! Mi sono infilato in un casino. Anche dire “è una cosa grossa” in questo contesto è piuttosto equivocabile.

Diciamo che ho pubblicato un sogno, trasformato in carta stampata che ha preso la forma di un libro.

Quindi, dicevo, pubblicai questo “oggetto in carta, multipagina”, non igienica, attraverso il quale ho raccontato le avventure dell’astronauta John Doe, svolte prima delle missioni Apollo della NASA . Fu incaricato, in seno alla missione “GoodMooning!“, di preparare l’allunaggio per la missione ufficiale. Una sorta di “avanscoperta con possibilità di fallimento”, diversamente dalla missione Apollo 11.

logo GoodMooning!

Mi immaginai tutta una serie di situazioni ironiche, paradossali, immaginarie, fantastiche che ho riassunto in 24 brevi racconti illustrati.

A pagina 31 del mio libro è riportato un brevissimo racconto dal titolo “Priorità assolute” che descrive un “momento intimo” della missione vissuto dal mio astronauta durante il quale doveva confrontarsi con un rotolo di carta igienica. Suo malgrado, avrà qualche difficoltà ad impiegare questo “particolare dispositivo”.

John Doe alle prese col SESA, Sistema di Evacuazione delle Scorie Accumulate.
John Doe alle prese col SESA, Sistema di Evacuazione delle Scorie Accumulate.

L’associazione “astronauta” + “carta igienica” mi ha catapultato al mio libro, tanto è vero che mia moglie ed io, vedendo in TV lo spot Regina, ci siamo guardati e abbiamo esclamato all’unisono: “ma è GoodMooning!”.

Beh, le idee sono nell’aria, a portata di mano e di tutti, o per lo meno di chi sa coglierle… Diciamo che questa, forse, viene da più lontano, non di sicuro dal mio libro ma da una visione personale che attinge da quel contenitore infinito che si chiama “retaggio culturale”; in questo caso partorita dal team creativo della Saatchi & Saatchi che ha realizzato lo spot per i rotoli Regina e che trova “linfa vitale” nel contesto delle missioni spaziali e dei luoghi comuni ad essa associati.

“Houston, I have a problem”, frase tormentone del mio libro, pronunciata anche nello spot Regina, è probabilmente una delle più celebri ma anche meno esatta della storia, o per lo meno è una delle più rimaneggiate. Legata alla missione Apollo 13, che non riuscì a raggiungere il nostro satellite per un guasto tecnico, nella versione originale pronunciata dall’astronauta Jack Swigert risulta essere: “Okay, Houston, we’ve had a problem here” traducibile in: “OK, Houston, qui abbiamo avuto un problema” successivamente sintetizzata, enfatizzata e rielaborata dai media dell’epoca per poi arrivare alla versione che tutti noi conosciamo.

In realtà è come dire: “ACI, ho bucato una gomma” o “Caro, mi si è rotto il frullatore” ma detta da un’astronauta, in piena guerra fredda, durante la corsa alla conquista della Luna ha tutto un altro sapore. Qualsiasi frase pronunciata in un momento di crisi avrebbe avuto un effetto dirompente e sarebbe passata alla storia. Dobbiamo essere grati all’addestramento ricevuto dall’astronauta Swigert che gli permise in quel fatidico momento di non pronunciare: “stì gazzi”, altrimenti la storia ci avrebbe regalato ben altro.

Tornando brevemente allo spot della Saatchi & Saatchi  per i Rotoloni Regina, sono rimasto colpito anche dal livello delle immagini, gli FX digitali sono degni di un film di fantascienza, raramente apprezzabili in un spot televisivo, fatta eccezione per certe pubblicità realizzate per il comparto del lusso (gioielli, profumi e auto).

Per chi desidera ulteriori info sullo spot della Saatchi & Saatchi può far riferimento a YouMark! 

Per chi invece volesse ulteriori info sul mio progetto “GoodMooning!” può dare un’occhiata al mio “vecchio blog” o acquistare una copia “del libro” su uno dei tanti store online sotto riportati.

“GoodMooning! Andare sulla Luna è una cosa molto seria …o forse no? Il programma spaziale segreto che portò l’uomo sulla luna.” 24 racconti brevi – © 2012 Phasar Edizioni, Firenze – Copertina, testi e illustrazioni: Stefano Saldarelli – ISBN: 978-88-6358-167-6

 Ulteriori info sulla missione Apollo 13:

La Cina sulla Luna

Pare un titolo di un vecchio film di fantascienza eppure è attualità.

La missione spaziale cinese Chang’e 3 è arrivata sulla Luna portando con sé il prezioso carico di strumenti scientifici.

La discesa del rover lunare cinese dal modulo che lo ha ospitato nel viaggio dalla Terra alla Luna
La discesa del rover lunare cinese dal modulo che lo ha ospitato nel viaggio dalla Terra alla Luna

Negli scorsi giorni alcuni siti web avevano speculato su questa notizia giocando sul fatto che i cinesi avrebbero potuto creare un allunaggio ad hoc, simulandone tutte le caratteristiche all’interno di uno studio televisivo e aggiungendo una buona dose di effetti visivi. Un po’ come si è detto per oltre quarant’anni in merito alle missioni Apollo e al presunto complotto che avrebbe mascherato un falso allunaggio da parte della NASA. Su questo argomento si è detto, scritto e prodotto film in quantità industriale creando attorno all’argomento un incredibile successo e vari movimenti di opinione.

Ovviamente la notizia è rimbalzata un po’ ovunque e se da prima lo scetticismo aleggiava sul web, amplificandosi di pagina in pagina,  dopo il passaggio della sonda americana LRO (Lunar Reconnaissance Orbiter) sopra la testa del modulo lunare cinese, tutti i dubbi sono stati fugati. Adesso siamo sicuri che Chang’e 3 sia dove deve stare.

Che scettici!

Non bastava credere alla parola dei cinesi? Come se non fossero in grado di fare cose originali o imprese titaniche solo con i propri mezzi. O peggio, come se potessero taroccare eventi importanti come questo. Eppure l’inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino 2008 ha dato prova di poter realizzare dei grandissimi progetti sotto gli occhi di tutti… Sì lo so, alcune cose erano state registrate e poi mandate in onda durante la diretta televisiva passandole come live… o via, stiamo a guardare queste cose? Qui si parla di scienza, non stiamo a sottolineare le quisquiglie e le pinzellachere.

Insomma quel pizzico d’invidia da parte degli americani nei confronti dei cinesi ha creato un po’ di scetticismo collettivo in merito all’effettivo allunaggio della sonda cinese lo scorso 14 dicembre. Dopotutto va detto, visto che la NASA sono anni che paventa un ritorno sulla Luna e per adesso non ha fatto altro che parlarne, fatta eccezione per la sonda LCROSS (Lunar Crater Observation and Sensing Satellite) che nel 2009 si è “limitata” a bombardarne la superficie per sollevare la polvere lunare per poi analizzarla in cerca di tracce d’acqua. Questo in effetti sarebbe stato l’ultimo tentativo da parte degli americani di ottenere un incontro ravvicinato con il nostro satellite.

Sempre esagerati loro…

Comunque, onore alla Chang 3 e alla perseveranza dei cinesi che ha permesso loro di arrivare sulla Luna. Nei prossimi tre mesi Chang’e 3 sarà impegnata nei test previsti dal programma spaziale della CNSA – China National Space Administration e i risultati saranno messi a disposizione della comunità scientifica.

Altre info su Chang’e 3 pubblicate in questo blog:

Crediti e approfondimenti:

Notizie sui “falsi” delle Olimpiadi di Pechino:

Gravity di Alfonso Cuarón. Il nuovo modo di raccontare lo Spazio

Gravity di Alfonso Cuarón segna un nuovo modo di fare cinema. Qualcosa del genere avvenne nel 1999 con il primo Matrix dei fratelli Wachowski e la tecnica di ripresa “bullet time” da loro perfezionata e resa celebre.

Gravity non è un film di fantascienza se per fantascienza si intendono quei film che parlano di invasioni aliene, mostri spaziali, astronavi provenienti da un lontano futuro o roba simile. Gravity è un film drammatico che parla di una missione spaziale terrestre, della NASA, durante la quale si verificano una serie di sfortunati eventi che determinano il fallimento del sistema satellitare mondiale e la distruzione di tutti gli avamposti terrestri in orbita. In modo piuttosto sintetico e approssimativo, senza far troppo danno con gli spoiler, questo è Gravity.

Gli gli spettatori più avvezzi a certi tecnicismi noteranno che il film “è portatore sano” di errori che nella realtà delle missioni spaziali sarebbero considerati come “eventi non plausibili”.  Il regista si è preso qualche libertà per rendere tutto più fluido e cinematograficamente funzionale e questo gli è concesso ampiamente poiché il risultato finale complessivo del suo lavoro è decisamente coinvolgente e innovativo.

Il film è uscito in versione 2D e 3D ma nella zona dove abito, Prato e zone limitrofe, non ho trovato una sola sala che proiettasse il film in 2D, peccato; lo avrei preferito in una versione 2K invece che stereoscopica.

Il 3D oltre ad essere una tecnologia che ritengo ancora ad uno stadio d’indefinita evoluzione, penalizza le immagini tendendo a ridurne notevolmente la luminosità e i contrasti, a fronte di una notevole desaturazione dei colori. Il 3D lo trovo stancante ed è, per certi versi, un espediente tecnico che trovo troppo “commerciale” e che spesso penalizza l’alto livello dei contenuti visivi. La ricerca di soluzioni estetiche atte ad aumentare la percezione del 3D, rende tutto stucchevole e, contrariamente a quanto si pensi, anche molto finto. Riassumendo, per mio gusto, il 3D lo trovo vincente nei film per bambini o per i teenager in generale in cerca di esperienze ludico ricreative, non in un film pensato per appassionare un pubblico più adulto.

Alfonso Cuarón at the 2005 San Sebastian Inter...
Alfonso Cuarón at the 2005 San Sebastian International Film Festival. (Photo credit: Wikipedia)

Cuarón cade vittima della sua stessa scelta. Più volte mostra piccoli oggetti, come le penne a sfera o le lacrime della Bullock, in lento movimento verso l’osservatore. Dopo qualche scena nella quale sono presenti questi elementi ho percepito la sensazione di trovarmi all’interno di un’attrazione di un parco di divertimenti, dove oggi si arriva ad ostentare il 4D e addirittura la 5D experience. L’attenzione per la storia viene meno nel tentativo di inseguire l’oggetto che si muove sullo schermo. Una sorta di ipnotico balletto che fa precipitare lo spettatore in un inesorabile ritorno alla realtà penalizzandone il continuum emotivo.

Lasciando perdere il 3D mi soffermo brevemente su alcuni aspetti che ho citato all’inizio del mio post. Uno in particolare, legato alla descrizione della vita nello spazio, se pur in un contesto di evidente situazione di estrema emergenza e soprattutto di fiction. Mi rivolgo a coloro che non hanno mai seguito le missioni della NASA in streaming video o che non hanno avuto l’occasione di vedere dei documentari sull’argomento. Un astronauta indossa la propria tuta spaziale, fatta su misura, non ne prende altre a caso. Per indossarla, ma anche per toglierla, occorrono diverse ore e non può fare questa operazione da solo. Da qui si evince che Cuarón non avrebbe potuto, per ovvi motivi, allungare il film di diverse ore solo per vedere indossare una tuta dalla Dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock); operazione comunque impossibile da fare in solitaria ma che grazie alle meraviglie del cinema diventa pure plausibile.

Come piace fare a me, sono andato a scavare un po’ sul web per trovare delle informazioni su Gravity, per saziare la mia curiosità e parlare di grafica, fotografia, cinema e tutto quello che si nasconde dietro l’obiettivo della macchina.

Il film si svolge prevalentemente nello spazio, fatta eccezione per alcune brevi sequenze finali. Uno dei punti più importanti da affrontare in un contesto narrativo caratterizzato dalla totale assenza di gravità è quello di fare in modo che lo spettatore non avverta che gli attori sono appesi a fili, magari costretti a evoluzioni circensi nel tentativo di creare l’illusione di essere nello spazio, pur trovandosi all’interno di un set cinematografico.

Cuarón ci è riuscito benissimo avvalendosi di diverse tecniche miscelate tra loro.

Gli effetti visivi del film sono stati curati dalla Framestore con la preziosa supervisione di Tim Webber che dal 1988 collabora con questa società che si è specializzata nello sviluppo di telecamere virtuali, offrendo soluzioni tecniche innovative impiegate in vari film e spot pubblicitari di grande successo.

Le soluzioni tecniche:

Come rendere credibile in un film l’assenza di gravità? Come poter girare lunghe sequenze senza dare l’impressione che George Clooney, che interpreta l’astronauta Matt Kowalsky e Sandra Bullock nei panni della Dottoressa Ryan Stone, siano appesi a dei fili e vittime degli inevitabili effetti della gravità terrestre se appesi a testa in giù o con il viso rivolto verso il pavimento?

Domande a cui Framestore e il direttore della fotografia Emmanuel Lubezki hanno dovuto dare delle risposte trovandosi ad affrontare una sfida senza precedenti, risolta magnificamente grazie all’esperienza, all’ingegno e alla tecnologia.

Le telecamere utilizzate per girare il film sono state montate su braccia meccaniche robotizzate, simili a quelle utilizzate in alcuni ambiti industriali, soprattutto in campo automobilistico. Il sistema, IRIS e SCOUT fornito della Bot & Dolly, composto da software e hardware, hanno permesso di controllare l’esatta posizione delle camere, permettendo di ottenere movimenti pre-programmati straordinariamente fluidi e dinamici attorno ai soggetti.

Questo sistema ha permesso agli attori di mantenere una posizione semi sdraiata, concentrandosi sui movimenti delle articolazioni e sulle espressioni del viso, senza mostrare sforzi in volto causati dalla rotazione del corpo rispetto alla normale gravità terrestre.

In alcune scene sono stati utilizzati modelli virtuali dei volti degli attori inseriti in post produzione sui corpi digitali degli astronauti generati in computer grafica. Questo video mostra alcuni test realizzati per elaborare il Facial Performance Capture

Per rendere tutto più credibile il direttore della fotografia Emmanuel Lubezki ha dovuto studiare un metodo per ottenere una corretta illuminazione degli attori, in un contesto ricreato digitalmente che solitamente non è percepibile mentre vengono girate le scene. E’ stato realizzato un set a forma di cubo, interamente rivestito con pannelli luminosi a led, su cui sono state inviate le immagini degli ambienti in cui gli attori si dovevano cimentare. Praticamente è stata realizzata la versione cubica di un video wall che di solito siamo abituati a vedere nei concerti o grandi eventi, di lato e/o sullo sfondo del palco. Questo espediente ha offerto due interessanti vantaggi. Il primo, permettere agli attori di rendersi effettivamente conto di ciò che avviene nella scena e di interagire con gli elementi in essa contenuti. Le dinamiche della scena avvengono in tempo reale, nello stesso istante in cui gli attori recitano con tutti i vantaggi immaginabili che un attore può ottenere da questo espediente. Il secondo, è poter illuminare in modo naturale e corretto gli attori ricevendo sul loro corpo sia le luci dirette sia quelle riflesse e relative dominanti presenti nella scena, senza dover intervenire pesantemente in post-produzione per ricreare artificialmente gli effetti d’illuminazione necessari a rendere la scena verosimile.

L'interno del cubo di LED utilizzato per girare alcune scene in Gravity
L’interno del cubo di LED utilizzato per girare alcune scene in Gravity

Il film è stato girato interamente in 2D e poi elaborato in post produzione in 3D dalla Framestore con il partner tecnico Prime Focus. La scelta tecnica ha permesso alla produzione di utilizzare cineprese 2D digitali, di dimensioni contenute, e di controllare selettivamente gli effetti 3D in una fase successiva, gestendo elementi virtuali fluttuanti ed incrementando le fughe prospettiche riprese con lenti grandangolari, sia sui set reali e sia su quelli digitali.

Il film elabora un nuovo linguaggio che fino ad ora era stato lasciato all’immaginazione dello spettatore o affidato a rapide e più improvvisate interpretazioni della vita nello spazio, realizzate con metodiche più tradizionali che tenevano meno conto delle leggi della fisica, per ovvi limiti tecnici.

Grazie al realismo ottenuto nelle scene, Cuarón riesce ad inchiodare lo spettatore sulla propria poltrona trascinandolo in un continuo alternarsi tra sgomento e gioia, disperazione e forza d’animo.

Le scene lunghe, ricche di dettagli e pathos, caratterizzano da sempre il lavoro di questo regista che in questo suo Gravity mette a dura prova le capacità tecniche dei suoi collaboratori arrivando ad impegnarli fin dal 2010 nella fase di pre-produzione e poi realizzazione di questo incredibile e originale film che arriva a regalare immagini mai viste prima al cinema.

Ottime le riprese in spazio aperto che conducono lentamente verso i volti degli astronauti fino ad oltrepassare la barriera del casco e a proporre l’inquadratura in soggettiva, ulteriormente enfatizzata dal suono del respiro degli astronauti offrendo allo spettatore la percezione di essere, “lui”, nello spazio.

Incredibili le scene in cui sono presenti esplosioni e urti con e tra i detriti dei vari satelliti e stazioni orbitali. Ogni elemento è artefice e vittima dei medesimi rottami che ad ogni giro d’orbita attorno al nostro pianeta tornano a collidere con i già danneggiati e costosissimi avamposti spaziali, producendo altri rottami che andranno ad incrementare la massa di detriti che tornerà a infliggere ulteriori danni ai passaggi successivi. Il lavoro sulle textures, sui solidi e i vari elementi particellari inseriti nella scena, curati dai maestri degli effetti visivi, ha richiesto migliaia d’ore di rendering per ottenere il realismo richiesto da Cuarón. La stessa Terra è stata elaborata tenendo presente la sua rotazione, quindi non imponendo allo spettatore una visione geostazionaria in cui sviluppare la storia ma seguendo le orbite e quindi le varie porzioni del nostro pianeta che variano col variare della rotazione terrestre. Immagini satellitari e tanto lavoro di texture hanno permesso di gestire la rotazione del nostro pianeta in modo completo, a vantaggio della sensazione di realismo che tende ad aumentare nel corso delle varie sequenze.

Gravity è una sorta di compendio sulle nuove tecniche e sui nuovi linguaggi per “raccontare lo spazio e la vita dell’uomo in assenza di gravità”. Da oggi, nulla sarà come prima nell’immaginario della fantascienza a vantaggio di film sempre più coinvolgenti e realistici. Come fece Stanley Kubrick col suo 2001 Odissea nello spazio, grazie alle le sue incredibili intuizioni, trovate estetiche e tecniche, sancì l’inizio di una nuova era del cinema della fantascienza, celebrata e omaggiata oggi con Gravity anche dallo stesso Cuaron. In seguito fu la volta di George Lucas con Star Wars, di Ridley Scott con Blade Runner e dei fratelli Wachowski  con Matrix.  Ognuno affrontò qualcosa che i loro predecessori ebbero il coraggio di cambiare e che a loro volta furono in grado di rielaborare, creando qualcosa di nuovo capace di lasciare un segno.

I prossimi registi che vorranno trattare l’argomento spazio, dovranno fare i conti anche con il maestro Alfonso Cuarón.

Crediti:

Approfondimenti:

Effetti visivi – Studi che hanno collaborato con la Framestone:

27 ottobre 1961, partiva il primo razzo Saturn e con lui il Programma Apollo della NASA

Dalla base di lancio di Cape Canaveral dell’Air Force, situata nella Contea Di Brevard in Florida, il 27 ottobre del 1961 alle ore 18:06:04 UTC, partiva il primo razzo della famiglia Saturn, l’SA-1.

Emblema del programma Apollo – fonte Wikipedia

Lo scopo della missione era collaudarne l’aerodinamica e la resistenza strutturale, in vista delle successive missioni previste all’interno del Programma Spaziale Apollo che portò l’uomo a muovere i primi passi sulla superficie lunare nel 1969.

L’SA-1 non aveva equipaggio e non entrò in orbita. La missione prevedeva un volo sub-orbitale del primo stadio del razzo sul quale vertevano i test in programma.

Gli stadi due e tre del razzo furono riempiti di acqua per simularne il carico che nelle missioni successive sarebbe stato inflitto al razzo dal propellente per portarlo in orbita. Dopo il lancio del Saturn 1, all’interno del Programma Apollo seguirono ben altri 20 lanci di razzi, in totale 10 col Saturn I, 5 col razzo Little Joe II e 6 con l’Apollo-Saturn IB e Saturn V. Il tutto si svolse tra il 1961 e il 1968.

Nonostante i 7 anni di test, i milioni di dollari spesi e l’impegno di migliaia di persone, dedite a questo incredibile progetto, il 27 gennaio 1967, durante un’esercitazione, il modulo di comando del primo razzo Apollo, con a bordo tre astronauti, prese fuoco decretando la morte di quelle tre vite e il fallimento della missione AS-204/Apollo I. I tre astronauti erano Virgil Grissom, Edward White e Roger Chaffee.

Per affrontare “una grande sfida” servono preparazione e impegno. Si può perdere una battaglia, credere di non potersi più rialzare ma solo non mollando si può essere testimoni della propria vittoria.

Dedicato a tutti gli astronauti di ogni nazione che sono periti durante le loro missioni, inseguendo un sogno e contribuendo allo sviluppo delle missioni spaziali.

I razzi Saturn, dall’SA-1 all’SA-10. Fonte Wikipedia

Fonti, crediti e approfondimenti:

L’auto per il matrimonio. Essere originali uscendo dai soliti cliché

Quando ti sposi devi pensare ad un sacco di cose, tra cui anche l’auto da utilizzare per i tuoi spostamenti nel giorno del fatidico sì. Cosa scegliere, quale auto usare per il tuo matrimonio? Dove trovarla e soprattutto, quale ti piacerebbe guidare o su quale vorresti essere trasportato?

Si avvicina quel giorno tanto atteso e nelle infinite cose a cui pensare devi includere anche la questione auto. Tutto dipende da come si affrontano le questioni, è ovvio. La prima cosa è cercare di non vederle come problemi ma come opportunità, altrimenti tutto diventa stress e può creare dissapori pre-matrimoniali. Converrete sul fatto che soprattutto quest’ultimo punto non è propedeutico per il raggiungimento degli obiettivi di cui stiamo parlando.

Detto ciò, la fortuna o il fato (fate voi), ha voluto che Antonella ed io coltivassimo diverse passioni in comune, non è quindi un caso che abbiamo deciso il 15 giugno 2013 di “convolare a giuste nozze” (che frase desueta). Tra le tante cose che ci piacciono c’è la fantascienza e ciò che riguarda lo spazio in generale e in qualche modo queste passioni dovevano riflettersi sul nostro matrimonio. In un primo momento avevo pensato di sposarmi vestito con l’uniforme di Star Trek ma dopo un breve ed esaustivo confronto con i parenti, la questione è stata, come dire…  portata su un altro livello. Quindi, accantonata la questione uniforme “star-trekiana” e non potendoci presentare al nostro matrimonio con un’Aquila di Spazio 1999 o con un caccia Ala-X (X-Wing) di Guerre Stellari, abbiamo attentamente valutato le possibilità a nostra disposizione per dare un tocco di “futuro” alle nostre nozze. Ovviamente parliamo sempre di scelte che da un lato puntano alla personalizzazione e caratterizzazione di questo particolare giorno e dall’altra puntano a tenere i costi molto “low”.

Di solito, almeno una percentuale molto elevata di coppie che si sposano, propendono per scegliere un’auto di lusso, moderna o vintage ma sempre di un certo livello e poco “low-cost”. Non stiamo qui a fare elenchi di marche e modelli ma più o meno coloro che hanno assistito ad un matrimonio o che hanno partecipato attivamente al loro, avranno sperimentato l’emozione di vedere o di salire su un mezzo di particolare stile e livello. Questa scelta non poteva essere la nostra, non solo perchè non volevamo spendere troppi soldi per l’auto ma soprattutto perchè né ad Antonella e né a me piacciono le auto di lusso e non ci sentiamo rappresentati da auto “lusso – vintage”, anche se entrambi non siamo proprio di “primo pelo”.

Quale auto poteva rappresentare il nostro “sogno di futuro”? Quale mezzo di locomozione poteva accompagnarci nel giorno del fatidico sì in modo originale e che fosse in grado di ostentare tecnologia, spazio, mobilità ecosostenibile (perché il futuro dovrebbe essere anche questo)?

Facciamo un rapidissimo passo indietro. Andiamo fino agli anni ’70, nei pressi della Luna. Durante le missioni Apollo gli astronauti si servirono di un rover lunare per spostarsi sul nostro satellite. Questo probabilmente è il mezzo di superficie più avveniristico che l’uomo abbia inventato e realmente utilizzato nello spazio.

Rover lunare – fonte NASA

Tale e tanto è stato il fascino che ha destato questo veicolo in me, e di riflesso anche in Antonella, che il rover lunare è entrato a far parte del mio immaginario e nelle storie fanta umoristiche che ho scritto nel mio libro GoodMooning!

Non potendo interpellare direttamente la NASA per noleggiare un rover lunare, Antonella ed io abbiamo cercato qualcosa di più “terrestre”, di siffatte sembianze e che soprattutto che potesse essere noleggiabile. Pensa che ti ripensa, facendo qualche fugace escursus iconografico nei vari film di fantascienza, tra cui anche il recente Oblivion, l’immagine che ci è venuta alla mente e che ha prodotto la risposta immediata in entrambi è stata: Renault Twizy.

In questo momento la Twizy è per noi il veicolo che più rappresenta l’immagine di tecnologia pensata per il futuro, unita ad una forte personalità che viene espressa dal concept stilistico che ha generato questa auto elettrica di casa Renault. Twizy era l’obiettivo, adesso dovevamo averla!

Consapevoli del fatto che per motivi di omologazione del veicolo che ne impedisce gli spostamenti su autostrade e superstrade non potevamo spostarci con la Twizy da Prato, dove abitiamo, a Colle di Val d’Elsa, comune del senese presso il quale ci sposiamo, abbiamo optato per concentrare le nostre ricerche nella provincia di Siena. In effetti i concessionari Renault di zona interpellati si sono rivelati cortesi e anche “portatori sani” di questo veicolo  se tra le nostre opzioni fosse stata inclusa la voce “acquisto”. Le concessionarie, per loro mission, non hanno la possibilità di offrire veicoli a noleggio, anche per motivi assicurativi, d’immatricolazione, ecc. Se volevamo la Twizy a noleggio dovevamo rivolgerci a qualcuno in grado di offrire questo servizio.

Cerca che ti ricerca, dopo estenuanti passa parola, email tra amici e conoscenti, grazie ad una nostra amica siamo riusciti a trovarne una, destando anche un po’ di curiosità in casa Renault. La nostra pedissequa ricerca di una Twizy da utilizzare per il nostro matrimonio e il relativo raggiungimento di questo obiettivo è arrivato all’orecchio della nota casa automobilistica francese, divenendo di fatto argomento d’interesse per Renault Italia.

Vi risparmio tutte le e-mail e scambi di telefonate intercorse e vi proietto direttamente a ciò che avverrà intorno al nostro matrimonio.

Assodato che Twizy sarà l’auto ufficiale del nostro matrimonio e che verrà guidata dalla mia dolce metà, nonchè novella sposa il 15 giugno prossimo, sulla pagina Facebook Twizy Italia potrete assistere “live” alla nostra avventura.

Il progetto “Twizy for Wedding” è riuscito. La lista delle cose da fare per il matrimonio alla voce auto riporta: “Fatto”!

La visualizzazione del nostro obiettivo.
La visualizzazione del nostro obiettivo.

 

Oblivion. E’ lo stato in cui si trova lo spettatore nel vedere il film di Joseph Kosinski

Tom Cruise veste i panni di Jack Harper, un tecnico riparatore di droni che svolge la sua mansione sul pianeta Terra, oramai devastato da molti decenni una catastrofe nucleare causata da un conflitto bellico tra terrestri e una razza aliena di invasori.

Locandina OBLIVION
Locandina OBLIVION

La trama del film è reperibile sul web, quindi non mi addentro nel merito. Ciò che desidero riportare in questo post è il mio senso di compiacimento per un verso e quello di delusione dall’altro che ho provato nel vedere questo film.

Cominciamo dalla prima condizione:

Il compiacimento.

L’ho provato apprezzando il lavoro meticoloso e direi quasi maniacale svolto dai designer e creativi. Mi riferisco in particolar modo a tre elementi fondamentali che oltretutto ritengo siano quelli che fanno di questa pellicola un prodotto accettabile. Accettabile e non eccelso perché poi subentra la seconda condizione che è appunto la delusione, legata alla sceneggiatura del film che tende a riportare il livello di Oblivion, a mio giudizio, su una condizione di “accettabile”.

Procediamo per gradi. Torniamo a parlare del compiacimento. Devo rafforzare questo termine usandone uno più forte per tentare di trasferirvi la sensazione che ho provato nel vedere le soluzioni estetiche adottate in Oblivion. Devo quindi dire che ho goduto nel poter apprezzare il design della navetta da trasporto e ricognizione “bubbleship” utilizzata da Tom Cruise e nel vedere tutti i dettagli stilistici e tecnici che la caratterizzano.

Ho goduto nel momento in cui mi sono lasciato trascinare dalle inquadrature che si insinuavano in ogni angolo dell’abitazione del capitano Jack Harper e della sua compagna Victoria (Andrea Riseborough) potendo apprezzarne non solo l’architettura dell’edificio ma anche tutti gli elementi di interior design.

Ho goduto nel poter vedere il lavoro prodotto dal costume designer, in particolare in merito alla realizzazione delle varie tute e vari indumenti indossati dagli attori.

Devo riconoscere che la scelta del bianco che prevale sui vari oggetti presenti nella scena, conferisce un senso di estrema pulizia e minimalismo. Il bianco rafforza l’esperienza visiva offrendo allo spettatore la sensazione di estrema funzionalità e di assoluta efficienza di ogni manufatto su cui è presente questo colore. Inoltre, il bianco, si lega al colore delle navette spaziali della NASA e da cui tutti i registi di fantascienza si sono ispirati per realizzare i propri caccia stellari, incrociatori, navette da trasporto, ecc.. Diciamo pure che il bianco è il colore che più si associa allo spazio, assieme al suo esatto opposto che è il nero che ne rappresenta la dimensione, l’oscurità e l’ignoto.

Oblivion - BubbleShip
Oblivion – BubbleShip

Il primo a subire il fascino minimal del bianco è la “bubbleship”, la navetta o astronave utilizzata da Tom Cruise per spostarsi velocemente nei cieli del desolato pianeta Terra. Il lavoro dei designer (Daniel Simon)e degli esperti in computer grafica è stato davvero meticoloso. Ogni dettaglio dell’astronave raggiunge livelli di perfezione assoluti allontanando lo spettatore dalla sensazione di artificioso o irreale. Potrei arrivare a dire che la bubbleship sia la coprotagonista del film. E’ presente in moltissime scene e viene inquadrata in ogni dettaglio, sia internamente e sia esternamente. Non solo, l’attenzione dei creativi scende in questioni più vicine alla fisica arrivando a simulare diverse condizioni di volo determinate dalla massa e dalla propulsione del veicolo, dalla sua velocità e dall’altitudine in relazione con le condizioni atmosferiche e con gli elementi circostanti che interferiscono (droni in primis).

Oblivion - motocicletta
Oblivion – motocicletta

Meno curata è la motocicletta impiegata per gli spostamenti a terra attraverso le lande desertiche del nostro pianeta apparentemente morente. E’ una moto che ricorda quelle utilizzate in film “post apocalittici” a basso budget dove per dare un “senso di futuro” ad un design contemporaneo, lo si trasforma applicandovi elementi in plastica del tutto inutili e poco credibili ma dal sapore, evidentemente per qualcuno, dal sapore fantascientifico. Se da un lato troviamo una bubbleship perfetta in ogni dettaglio, dall’altra abbiamo una motocicletta che a parer mio è stata un po’ trascurata nel suo design e sopravvalutata in prestazioni rendendola piuttosto ridicola e non credibile. Faccio riferimento al suo utilizzo come argano di traino e al suo display di controllo che è disallineato come design da tutto il resto.

Oblivion - Drone
Oblivion – Drone

Altra cosa piuttosto scontata è il design dei droni. Soluzione estetica e funzionalità ampiamente viste in Matrix, StarWars, Terminator e, nel sempre onnipresente citato, omaggiato, celebrato, “2001 Odissea nello spazio” da cui ogni regista prende in prestito un “pezzo”. In questo caso l’inquietante occhio scrutatore di Hall 9000 che rivediamo su ogni drone di Oblivion e sul nucleo centrale dell’astronave aliena.

Oblivion - SkyHome
Oblivion – SkyHome

Torniamo velocemente alle cose che mi hanno compiaciuto. Parliamo di architettura e design di interni. La SkyHome di Jack Harper è qualcosa di pazzesco sotto ogni punto di vista. Se vogliamo essere critici possiamo soffermarci sulla struttura che la mantiene al di sopra delle nuvole. Struttura esilissima che francamente conferisce un senso di estrema fragilità e di poca credibilità in termini di efficienza statica. Lasciando perdere questo elemento, spingiamoci verso l’alto, appunto sopra le nuvole, dove si erge l’abitazione dei due controllori di droni che vivono la loro vita apparentemente felice e perfetta. Il design dell’edificio è sicuramente un omaggio, o ne trae ispirazione, alla celebre Fallingwater o “casa sulla cascata” ad opera dell’architetto statunitense Lloyd Wright.

Oblivion - SkyHome e BubbleShip
Oblivion – SkyHome e BubbleShip

Il concept di questa abitazione è basato sulla totale efficienza e il massimo comfort. Non ci sono elementi di disturbo. Le lunghe linee da cui si generano le consolle, i mobili e pensili, sono interrotte solo da elementi curvi che ne deviano la direzione col preciso scopo di offrire la sensazione di trovarci in uno spazio ben concepito, pensato per abitarvi comodamente e lavorarvi efficientemente all’interno di grandi ambienti luminosi e puliti.

Oblivion - sistema di controllo touch screen
Oblivion – sistema di controllo touch screen

Le interfacce software presenti nella sala di controllo di volo, ad uso di Victoria, compagna e assistente di volo di Harper, si “spalmano” su un lungo sistema di monitor a touch screen. Le mansioni svolte da Victoria sono plausibili e riescono a soddisfare qualsiasi utilizzatore di tecnologie evolute, offrendo una carrellata di funzioni e interazioni del tutto credibili. Molto interessante è il “drag and drop” estremamente potenziato e resto efficiente dal sistema operativo in uso, grazie al quale lo spettatore più attento può seguire una serie di azioni che permettono la gestione delle comunicazioni tra la Terra e il centro di controllo nello spazio, l’attivazioni di droni e di seguire e intervenire sulle dinamiche della bubbleship; tutto attraverso il trascinamento di icone da un punto all’altro dello schermo mostrando, in tempo reale, la relativa condizione di ogni sistema.

I costumi.

Oblivion - costume di Jack Harper
Oblivion – costume di Jack Harper

Minimal e funzionali, in  linea con gli elementi architettonici della Skyhouse. Questo vale sia per la tuta di volo di Harper e sia per l’abbigliamento elegante ma formale di Victoria che contribuisce a conferirle un aspetto algido ma anche sexy. Stando sola a casa a seguire le operazioni svolte da Jack Harper attraverso la sua postazione di controllo, il look di Victoria è a totale beneficio dello spettatore che la può ammirare in tutta la sua eleganza e perfezione nell’ambito dello svolgimento delle sue mansioni quotidiane. La tuta di Harper è perfetta. Giacchetto e pantalone bianchi, lievemente usurati a testimoniare un utilizzo frequente, conferendo al personaggio che la indossa carattere e una certa operatività sul campo. Non male anche l’uso delle patch in rilievo poste sul pettorale di Harper che indicano il numero della squadra a cui appartiene.

Adesso mi tocca parlare dei punti dolenti del film. Ecco che arriva il mio senso di delusione che mi appresto a motivarvi.

La delusione

Joseph Kosinski

Joseph Kosinski, che ha diretto nel 2010 “Tron Legacy”, deve avere qualche “sassolino nella scarpa” nei confronti di Duncan Jones, regista del film Moon, del 2009. Se non lo avete ancora fatto vi invito a vedere Moon. E’ un film di fantascienza interessante, ben scritto e altrettanto ben girato. Kosinski deve averlo visto, probabilmente gli è anche piaciuto ma poi deve esserne rimasto turbato a tal punto da esserne plagiato, almeno per buona parte di Oblivion.

Alcuni dettagli che mi portano ad invocare il plagio…

1) All’inizio di Oblivion, dopo le prime scene girate in una NewYork dei nostri giorni, ci troviamo sulla Terra nel 2049 dove possiamo osservare, in cielo, il nostro satellite semi distrutto i cui frammenti, più o meno grandi, fluttuano in orbita. Ho interpretato questa scelta come un chiaro: “No, questo film non c’entra nulla con Moon, infatti distruggo subito la Luna”. Quasi a voler mettere subito i puntini sulle “i”.

2) Il punto 1 non avrebbe alcun senso se non vi trovaste a leggere un punto 2 e i successivi. Jack Harper è un clone e lui non lo sa. Non solo, come lui ce ne sono altri, probabilmente a migliaia. Stessa cosa per Moon. L’attore Sam Rockwell interpreta un operatore addetto ad un impianto minerario. n clone al servizio di una compagnia che lo ha duplicato in migliaia di copie. Tutto questo per assicurare una produzione efficiente e nessuna perdita in vite umane.

3) in Oblivion sono state collocate negli oceani delle piattaforme per l’estrazione dell’acqua per poi trasformarla in energia. Non mi dilungo in spiegazioni ulteriori, vi basti pensare che queste “idrovore” trovano in Moon qualcosa di molto simile dedito alla raccolta di “polvere lunare” dalla quale estrarre, invece dell’acqua, dell’Elio 3, elemento essenziale per la produzione di energia sulla Terra.

4) In Oblivion il comandante Jack Harper si accorge di avere un clone vedendo se stesso svolgere il proprio lavoro in una particolare condizione e circostanza, del tutto imprevista dalla compagnia (ed evidentemente dal clone stesso). In Moon, stessa cosa.

5) In Oblivion Jack Harper e Victoria sono in procinto di lasciare il pianeta Terra per congiungersi agli umani sopravvissuti rifugiati sulla luna di Titano. Durante il film, i messaggi provenienti dalla stazione di controllo missione a cui fanno capo i due protagonisti, confermano a più riprese la condizione di imminente partenza creando un senso di attesa e uno scopo preciso per cui la missione vale la pena condurre al meglio, fino alla fine. In Moon stessa cosa. La compagnia mineraria rassicura costantemente Sam Bell (il protagonista del film) sul fatto che a breve finirà la sua missione e che tornerà sulla Terra. In entrambi i casi tali affermazioni sono solo delle bugie ripetute come una sorta di mantra.

Insomma, Moon si svolge sulla Luna e Oblivion in gran parte sulla Terra ma gli elementi in comune sono parecchi.

Non finisce qui. Lasciamo perdere Moon e dirottiamo l’attenzione sulla seconda parte della sceneggiatura di Oblivion. Diciamo da quando si comincia a capire che Tom Cruise ha un suo bel clone e probabilmente molti altri come lui.

Il regista a questo punto decide di percorrere la traccia di Matrix con un leader stile Morpheus, in chiave Morgan Freeman, alla guida di un gruppo di malconci umani che vagano nelle lande desolate della Terra spacciandosi per alieni. Anche qui non mi dilungo in ulteriori dettagli. Diciamo che l’allegra compagnia di terrestri, anche se mal concepita e stravista in decine di film, è nulla a confronto se paragonata all’inefficienza e idiozia della razza aliena che orbita intorno alla Terra.

Joseph Kosinski si perde in dettagli fantastici offrendo allo spettatore un piano sequenza meraviglioso del comandante Harper all’interno della sua astronave Odyssey, durante la scena in cui prende coscienza di ciò che gli è accaduto una sessantina di anni prima. All’interno di questa nave, simile per alcuni aspetti ad uno Space Shuttle, Tom Cruise fluttua in assenza di gravità tra un ambiente e l’altro nel tentativo di sganciare alcuni moduli che suo malgrado dovrà abbandonare nello spazio. Gli interni della nave sono meravigliosi e ogni dettaglio non è lasciato assolutamente al caso. Si legge infatti, nei titoli di coda, che il regista si è avvalso, non a caso, della consulenza di astronauti NASA rendendo tutto molto realistico e convincente.

Poi…

Poi accade qualcosa. “Joseph Kosinski probabilmente assegna la realizzazione della scena finale del film ad uno stagista o è vittima di un crollo psicologico, non lo so; qualcosa deve essergli accaduto”.

Per tutto il film siamo stati testimoni di una strategia premeditata, pianificata in ogni dettaglio, che ha visto gli alieni, nonostante la loro apparente disfatta, sterminare gran parte dell’umanità, trascinando la Terra nella desolazione. Abbiamo visto tecnologie pazzesche e sistemi di difesa avanzatissimi largamente impiegati da tutti i droni presenti nel film. Sistemi che riescono a rivelare scie di DNA di un individuo riuscendo a tracciarne la traiettoria su cui si è spostato. Tecnologie in grado di scansionare sotto la superficie terrestre, di riconoscere gli individui con sistemi di riconoscimento facciale, ecc.

Tutto ciò accade sulla Terra, figuratevi poi cosa potrebbe accadere sulla nave madre nello spazio. ALmeno questo è quello che si chiede lo spettatore.

Ecco… qui casca tutto.

Harper imbottisce la sua navetta di esplosivo, trasporta un umano all’interno di un’apposita capsula palesando all’entità aliena che si tratta di una donna terrestre che è riuscito a catturare. In realtà si tratta di un uomo, di colore (Morgan Freeman) che è si è sostituito alla donna per compiere il gesto estremo insieme a Jack Harper. L’astronave aliena apre il suo boccaporto all’arrivo della bubbleship lasciando passare il comandante Harper e il suo contenuto. L’astronave riesce ad attraversare vari ambienti della nave madre tra cui uno pieno di droni.  Solo il tono della voce del comandante Harper insospettisce, ma non troppo, l’entità aliena che si limita a chiedere al clone quali fossero le sua intenzioni. Harper rassicura la “voce” la quale gli permette di proseguire il suo viaggio all’interno della nave madre. Interni che oltretutto, annoiano mortalmente riportando alla memoria la parodia di Mel Brooks “Balle spaziali” dove si prendeva in giro Guerre Stellari e l’eccessiva lunghezza degli incrociatori imperiali.

Addirittura in una delle sale in cui transita la bubbleship ci troviamo nella fotocopia della sala in cui Neo e migliaia di umani, in Matrix, sono mantenuti in vita grazie ad un efficientissimo sistema di tecnologie sviluppato dalle “macchine”.

Insomma, gli alieni non si accorgono di nulla a tal punto che il regista, visto che ha osato fin qui, si permette di insultarci consentendo al comandante Harper di adagiare la sua bubbleship a pochi metri dal nucleo centrale del sistema alieno. Di scendere dal velivolo, di sganciare la capsula con l’umano al suo interno, di aprirla, di scambiare due chiacchiere con Morgan Freeman e di schiacciare il pulsante per detonare ogni cosa. Tutto sotto gli occhi “vigili” del nucleo centrale alieno che, ovviamente, viene distrutto e con esso tutta la tecnologia aliena presente nello spazio e sulla Terra.

Oblivion è in realtà lo stato in cui si trova lo spettatore nel vedere questo film, fatta eccezione per pochi attimi di lucidità del regista che ci permettono di apprezzare alcune scelte (scenografie, effetti visivi, fotografia, costumi, musica). Sicuramente chi è appassionato di fantascienza dovrà fare i conti con tutta una serie di richiami ai vari film di questo genere che hanno preceduto Oblivion. Chi non lo particolarmente dovrà comunque rassegnarsi a godere principalmente dell’aspetto visivo che è comunque insufficiente per coprire le scelte maldestre che hanno portato il regista a chiudere il film in questo modo.

Peccato, un’occasione mancata!

Video degli M83 con Susanne Sundfør

 

Crediti e link di approfondimento:

Foto tratte dal film di proprietà della UNIVERSAL PICTURE.

Altre foto tratte da: